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La Moldavia imbocca la settimana più delicata della sua stagione politica con una sirena che rimbomba da Chișinău a Bruxelles, quella delle interferenze esterne.

Moti e narrazioni

Il Cremlino sta costruendo le condizioni per scatenare proteste di piazza, potenzialmente violente, con l’obiettivo di indebolire o perfino rimuovere Maia Sandu all’indomani delle parlamentari del 28 settembre. È un’Euromaidan capovolto, non la spinta spontanea e pro-europea contro un leader filorusso, ma un dispositivo eterodiretto pensato per travolgere una leadership filo-occidentale. E i numeri sembrano anche aiutare la narrazione. I sondaggi restituiscono un Pas in flessione, un Parlamento senza una maggioranza chiara, un serbatoio di indecisi pesante e la diaspora, decisiva e poco fotografata dalle rilevazioni tradizionali.

In questo vuoto di certezze si innesta il calcolo politico russo. Qualsiasi esito può essere raccontato come illegittimo, brogli se vince il Pas, annullamento se prevale l’opposizione.

La cornice propagandistica è stata montata con anticipo. Il 23 settembre il Servizio di intelligence esterna russo ha sostenuto che la Nato si preparava a invadere la Moldavia da Odessa, evocando nuclei francesi e britannici già pronti allo sbarco, il ruolo dei burocrati di Bruxelles e perfino l’ipotesi che Sandu invochi truppe europee per imporre una dittatura dopo presunti brogli. La narrativa strategica si appoggia, come da manuale, a un dettaglio reale. Infatti, tra il 20 ottobre e il 13 novembre si terranno le esercitazioni Dacian Fall 2025 in Romania e Bulgaria, per vestirsi di verosimiglianza e offrire alla propaganda una scenografia perfetta di occupazione imminente. 

Gli ingranaggi

Grattando sotto la vernice narrativa c’è una meccanica operativa che le autorità moldave hanno descritto con crescente precisione. Il 22 settembre il capo della Procura antimafia Victor Furtună ha ricostruito trasferte sistematiche verso la Serbia di gruppi di giovani addestrati a provocazioni, elusione dell’arresto e persino uso di armi. Il direttore del servizio d’intelligence Alexandru Musteață ha parlato di un referente che si presentava “per conto di un servizio russo” e di un ufficiale del Gru con precedenti in Europa, Asia e Africa incaricato di organizzare “azioni destabilizzanti nel contesto elettorale”. I flussi finanziari, secondo gli inquirenti, convergono sull’oligarca fuggitivo Ilan Shor, con reclutamenti su Telegram e compensi attorno ai 400 euro a partecipante: una tariffa coerente con stagioni di protesta “a gettone” già viste nelle piazze di Chișinău. Agenti usa e getta, ancora una volta. 

Il disegno si riverbera sul versante informativo, con il voto del 28 settembre come un test per una costellazione di operazioni d’influenza attive da mesi e pensate non solo per influenzare l’urna, ma per erodere fiducia e regole del gioco. In prima fila c’è Operation Overload, nota anche come Matryoshka o Storm-1679: impersonamento di testate e fact-checker, inondazione di redazioni e ricercatori con pseudo-scoop, deepfake, video manipolati e richieste di verifica costruite per far deragliare la risposta istituzionale. Accanto scorre la Foundation to Battle Injustice, serializzatrice di “inchieste” fasulle per demolire la reputazione di Sandu e del Pas. In aggiunta, nuovi network di influenza e disinformazione all’avanguardia, come CopyCop, in grado di avvelenare i bacini informativi e linguistici dell’intelligenza generativa, influenzando potenzialmente dall’algoritmo di base fino a qualsiasi modello di IA targetizzato. A chiudere il triangolo c’è Operation Undercut, una rete social, sempre più visibile anche su TikTok, che lavora sulle aspettative: elezioni truccate, guerra alle porte, crollo economico. L’obiettivo non è ribaltare in blocco l’orientamento elettorale, ma spostare l’asticella della plausibilità e inchiodare il sistema a inseguire menzogne, con l’effetto collaterale di deprimere l’affluenza e scavare sfiducia nelle procedure.

Il vettore mediatico verso il pubblico russofono ha una sua architettura

Dall’autunno 2024 si è affermata Moldova24, una televisione digitale riconducibile, anche sul piano infrastrutturale, all’orbita Rt. Domini specchio, hosting e set a Mosca, resilienza tecnica ai blocchi del servizio d’intelligence moldavo, linea editoriale che normalizza la diffidenza verso Ue e Stati Uniti e colpisce il voto della diaspora. Proprio la diaspora che nell’ottobre 2024 pesava attorno a un quinto dell’elettorato e tendeva a premiare Sandu, diventa il bersaglio di una doppia narrazione: da un lato l’estero come bacino di brogli pro-Pas, dall’altro la vittimizzazione degli elettori filorussi in Russia e Transnistria, raccontati come discriminati o ostacolati. La cornice si completa con accuse di intimidazioni interne e presunti “aiuti” europei branditi come moneta clientelare. 

In parallelo opera la lavatrice narrativa. Pravda Md, incardinata nell’ecosistema Portal Kombat, ricicla e rilancia a basso costo contenuti di Rt, Ria, Sputnik e Tass verso l’audience romenofona, avvelenando i pozzi informativi secondari, dai motori di ricerca agli strumenti di moderazione, fino ai chatbot, e spostando gradualmente il confine di ciò che appare credibile.

Punta, mira, propaganda

Il ponte tra propaganda e politica elettorale passa anche per la pubblicità mirata. Secondo il think tank WatchDog.MD, tra ottobre 2022 e novembre 2024 una rete di 2.167 pagine Facebook autogenerate, con titoli non-sense e foto rubate a siti d’incontri e cam site, amministrate fuori dalla giurisdizione moldava e con inserzioni pagate in dollari o zloty, ha speso circa 470 mila euro per oltre 1.400 annunci pro-Shor e anti-Pas. Al cuore dell’infrastruttura c’è Evrazia, ONG russa dell’orbita Shor che nel 2024 avrebbe gestito una pipeline di 15 milioni di dollari per tentare di comprare 130 mila voti contro il referendum Ue, con pagamenti organizzati via Telegram. Nel 2025 parte di quelle stesse pagine ha rilanciato il programma-vetrina “Discover Russia 2025”, utile a tenere calde audience e canali in vista delle parlamentari.

Sul fronte interno gli araldi della narrativa filorussa hanno fatto il resto. Il 5 settembre Igor Dodon, già presidente e oggi figura di punta del blocco Patriotic, ha convocato la piazza per il 29, con l’obiettivo di impedire l’annullamento se vince l’opposizione, chiedere l’annullamento per brogli se vince il Pas. 

Ancora, tra il 22 e il 28 settembre Shor ha ripetuto la liturgia ai media statali russi, parlando di frode massiccia e di “scenario romeno”. Un richiamo strumentale all’annullamento delle presidenziali 2024 a Bucarest per interferenze esterne, calato in un contesto, quello moldavo, dove un simile precedente non esiste, per ora. 

A che pro? Il copione serve a pre-legittimare la piazza e a spingere il conflitto di attribuzione fin dentro le istituzioni. La Costituzione consente la messa in stato d’accusa del presidente con i due terzi dei deputati e rinvio alla Corte Suprema. Una soglia alta, oggi improbabile, che però una crisi d’ordine pubblico prolungata potrebbe rendere politicamente più percorribile per segmenti oscillanti del Parlamento. 

I prossimi passi e il controllo riflessivo

È l’essenza del controllo riflessivo, quella di trasferire sull’avversario le basi della decisione, costringerlo a misure “necessarie” che nella narrazione russa diventano prova di autoritarismo e miccia per nuove mobilitazioni.

Il mosaico finanziario e relazionale completa la geometria della campagna. Il 4 settembre Vladimir Putin è apparso con Shor e con i vertici di Promsvyazbank e Veb per il lancio di un ufficio A7 nell’Estremo Oriente russo: una piattaforma di regolamento transfrontaliero associata a schemi di elusione sanzionatoria, connessa a circuiti cripto e a reti di troll pagate, anche tramite Psb, per alimentare disinformazione in vista del voto. La stessa pipeline economica affiora nelle indagini su finanziamenti esteri alle campagne di protesta e sui pagamenti in contanti per presidi a oltranza, fino ai 3 mila dollari al mese promessi in agosto per un accampamento permanente nel centro di Chișinău.

Tutto converge su tre snodi temporali. La notte tra il 28 e il 29 settembre, con la piazza convocata comunque vada, sarà il primo banco di prova: brogli se vince il Pas, annullamento se vince l’opposizione. Tra il 20 ottobre e il 13 novembre, le esercitazioni Dacian Fall offriranno al Cremlino l’ambientazione ideale per rilanciare la tesi delle “truppe Nato ai confini”, saturando l’ecosistema informativo con clip, foto e geolocalizzazioni decontestualizzate. Il 30 novembre in Transnistria, infine, rappresenta la data perfetta per un’operazione a bassa attribuibilità che riaccenda il circuito di colpe e punizioni, con Mosca pronta a presentare l’eventuale risposta di Chișinău come repressione pro-Ue e dunque come ulteriore prova dell’illegittimità del governo.

In controluce resta un punto che vale oltre la notte elettorale. Anche quando l’effetto diretto delle operazioni di influenza sul comportamento di voto appare limitato, il costo indiretto è altissimo ed è rintracciabile nella fiducia erosa, nell’affluenza depressa e nelle istituzioni costrette a spendere capitale economico e politico in attività di debunking e fact checking. 

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