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I funzionari della Difesa statunitense raccontano ai media americani (Cnn, Cbs, Fox) che, dalle loro osservazioni continue sui comportamenti dei miliziani dello Stato islamico, pare che l’organizzazione sia in una sorta di “stato di emergenza”. “Qualunque cosa significhi”, ha detto Steven Warren, il portavoce della Colazione anti-Is guidata dagli Stati Uniti, questo vuol dire che sono preoccupati perché la capitale del Califfato, Raqqa (in Siria), potrebbe presto finire sotto assedio, spiegando la situazione in una conferenza stampa (i cui dettagli sono stati poi arricchiti ai media dalle solite fonti anonime).

LA LEVA POLITICA

Dietro a queste dichiarazioni c’è molto spin politico: la Casa Bianca si è impegnata dall’inizio dell’anno nella promessa di riconquistare le roccaforti siro-irachene del gruppo (l’altro grande obiettivo è Mosul, la campagna dovrebbe partire, o doveva essere già partita, ma tutto ancora stalla e i generali cominciano ad essere scettici). Per diretta volontà del presidente Barack Obama e dei suoi consiglieri strategici, nel nord della Siria è stato creato un raggruppamento di ribelli, le Syrian Democratic Forces (dove i curdi del Rojava hanno azionariato di maggioranza sugli altri gruppi arabi e siriaci), che è stato affiancato da alcuni reparti di forze speciali americane, infoltiti nel corso degli ultimi mesi. Questi avranno il compito di fornire consulenza diretta sul campo (facendo affidamento anche su basi pseudo-clandestine sul suolo siriano), permettendo ai combattenti di scendere fino alle porte della capitale del Califfato, accerchiarla, isolarla, tagliarla dalle comunicazioni con il resto dei territori controllati dal gruppo. Lo step successivo sarà la conquista, intanto l’assedio.

RIPOSIZIONAMENTI

“Abbiamo visto la dichiarazione di emergenza a Raqqa – dice Warren ai giornalisti  – Sappiamo che questo nemico si sente minacciato, come dovrebbe”. “Abbiamo avuto segnalazioni di un riposizionamento di uomini dell’ISIL (acronimo che i funzionari governativi americani usano per l’Isis. ndr) sia all’interno della città che attorno alla cerchia abitativa”.

ELIMINARE BAGHDADI

Il colonnello americano ha parlato anche del Califfo Abu Bakr al Baghadadi, considerato l’obiettivo numero uno della campagna di decapitazione che Washington ha avviato contro la catena di comando dello Stato islamico. Secondo Warren non è chiaro se si trovi a Raqqa o altrove, ma conoscendo l’approccio paranoico per la sicurezza dei leader che contraddistingue il gruppo, è difficile che il Califfo si trovi all’interno della città oggetto di una mobilitazione di emergenza. Il portavoce della Coalizione tuttavia ammette che nonostante Baghdadi e gli altri comandanti del regime militare instaurato dall’Is restino obiettivi di primo rilievo, le capacità dell’organizzazione difficilmente saranno ridimensionate attraverso questo genere di missioni, in quanto ci sono altri leader già pronti a subentrare seguendo linee già programmate.

DIFENDERSI VUOL DIRE ATTACCARE

È possibile che davanti ad una oggettiva condizione difensiva vissuta dall’Is in questo periodo, da cui lo stato d’emergenza, il gruppo, che si nutre di propaganda della vittoria, forzi le operazioni, lanciando attacchi e missioni con ancora maggiore insistenza per non apparire indebolito. Quel “qualunque cosa significhi” detto da Warren può celare questo scenario; da giorni è in corso una campagna militare internazionale che interessa molti dei territori controllati dallo Stato islamico, dalla Libia, all’Iraq, all’Egitto, dedicata al defunto leader in Libia Abdulrahman Mustafa al Qaduli, al secolo Abu ali Al Anbari ma più conosciuto come Abu Alaa al Afri, secondo in comando al Califfo, ucciso il 25 marzo da un raid americano parte di quella campagna di decapitazione che dovrebbe flettere in parte lo Stato islamico.

trump stato islamico, isis, al qaeda

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