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Non c’è dubbio sul fatto che aver negato ad Ursula von der Leyen i voti di Fratelli d’Italia per l’elezione a presidente della Commissione europea abbia offuscato l’immagine di Giorgia Meloni e indebolito la capacità negoziale dell’Italia.
Ma, forse, non basta questo a spiegare la levata di scudi contro le nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione con competenza su Coesione e Pnrr, deleghe che da sole valgono un migliaio di miliardi di fondi Ue.
Ad opporsi, tanto da costringere von der Leyen a posticipare al prossimo martedì la presentazione della squadra di governo, sono stati i Verdi, i Liberali e soprattutto il Partito socialista europeo. A quel che risulta, la postura del Pse sarebbe stata esplicitamente richiesta dal Partito democratico di Elly Schlein.
Così fosse, si tratterebbe di un segnale politico sconfortante. Un cedimento alle ragioni della componente filo grillina del Pd.
Un allineamento alla retorica “antifascista“ cara alle componenti ambientalista e di sinistra del cosiddetto campo largo. Una sottovalutazione dell’interesse nazionale a fronte di una sopravvalutazione dell’interesse di partito.
Perché è chiaro che, indipendentemente dalle casacche politiche che ciascuno indossa, è interesse dell’Italia essere rappresentata col maggior peso politico possibile nella costituenda Commissione von der Leyen. Non è detto, però, che la strategia del Pd dia i frutti sperati.
A Bruxelles, sono infatti tutti convinti che il Pse non possa permettersi di impallinare il candidato dell’Italia, anche perché Raffaele Fitto viene percepito come espressione del Ppe e, come dimostra l’odierna intervista del presidente Manfred Weber al Corriere, gode del pieno sostegno dei popolari europei.
Se il Pse dovesse decapitare o sensibilmente ridimensionare Raffaele Fitto, il Ppe farebbe altrettanto con i commissari europei del Pse, in una guerra di tutti contro tutti che rischierebbe di delegittimare l’intera Commissione.
Indipendentemente dalla strategia, o per meglio dire dalla tattica, posta in essere da Elly Schlein, è ragionevole immaginare che i socialisti europei stiano utilizzando le presunte pressioni del Partito democratico per negoziare deleghe di maggior peso ai propri commissari e che, dunque, un accordo verrà trovato. Ma è possibile che la mediazione comporti un ridimensionamento di Fitto.
Nelle prossime ore usciranno interviste ad esponenti del Pd che ne metteranno in discussione il ruolo di vicepresidente, non appartenendo il suo partito alla maggioranza che governa l’Europa. Ma fonti della Farnesina ritengono che il candidato italiano non dovrebbe perdere lo status di vicepresidente esecutivo, ma potrebbe dover incassare deleghe di minor peso rispetto a quelle fino ad oggi ipotizzate nei retroscena dei giornali. Si vedrà.
Certo è che per scongiurare questo sbocco Giorgia Meloni, come a farsi perdonare il voto su von der Leyen, ha riservato parole di miele al rapporto stilato da Mario Draghi sulla competitività europea e, premurandosi che la notizia fosse ripresa dalla stampa nazionale ed internazionale, ha telefonato all’ex presidente della Bce chiedendone, pare, esplicitamente il sostegno. Il messaggio, coerente con la tesi recentemente espressa dal settimanale britannico Economist, è: io non sono come Marine Le Pen, sulla mia affidabilità l’establishment europeo può contare.

Le oscure trame del Pd contro la nomina di Fitto lette da Cangini

Indipendentemente dalle casacche politiche, è interesse dell’Italia essere rappresentata col maggior peso politico possibile nella costituenda Commissione von der Leyen. È ragionevole immaginare che i socialisti europei stiano utilizzando le presunte pressioni del Partito democratico per negoziare deleghe di maggior peso ai propri commissari e che, dunque, un accordo verrà trovato. Ma è possibile che la mediazione comporti un ridimensionamento di Fitto. E questo non è un bene. Il corsivo di Cangini

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