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Da settimane le grandi firme dei giornaloni fanno a gara nel bacchettare Matteo Renzi, colpevole ai loro occhi di comportarsi in modo sbagliato verso l’Unione europea. Renzi, tuttavia, insiste. E anche dall’Argentina ha ribadito che negli ultimi otto anni la politica economica di Obama, mirata alla crescita, ha avuto successo, mentre quella dell’Unione europea, succube dell’austerità tedesca, è stata un fallimento. Se si guarda ai numeri, e non solo al galateo politico, Renzi ha ragione da vendere: l’economia europea è ferma, la ripresa di là da venire, e l’Italia, ovviamente, non fa eccezione. In questo contesto, la proposta tedesca di dare un ulteriore giro di vite all’austerità, mediante nuove regole volte ad abolire il rischio zero per i titoli di Stato detenuti dalle banche, rischia di provocare una catastrofe del sistema bancario italiano.

Uno studio di Mediobanca Securities, che già nel titolo («Back to 2012») evoca il peggio, ha appurato che se l’Europa dovesse imporre alle banche dell’eurozona di non detenere titoli di Stato oltre il 25% del proprio patrimonio, e di accantonare fondi come garanzia anti-default per i titoli già posseduti, le banche italiane andrebbero incontro a un bagno di sangue. Nella migliore delle ipotesi, con l’obbligo di riserva anti-default al 40% per l’Italia e la Spagna (al 20% per Germania e Francia), le nostre banche si ritroverebbero con un buco di 5,7 miliardi, da colmare subito. Buco che, secondo altre stime, potrebbe arrivare a 16 miliardi.

Non solo. Con un tetto massimo al 25% per i titoli di Stato in portafoglio, le banche italiane (che ora ne hanno in pancia per 400 miliardi) dovrebbero liberarsene per almeno 150 miliardi, con ricadute disastrose sul mercato finanziario. La sola Unicredit dovrebbe liberarsi di 30 miliardi di bond pubblici, Mps, Ubi e Banco Popolare di altri 20 miliardi, e così via. Un’operazione che renderebbe difficile, per non dire impossibile, fare nuove emissioni da parte del Tesoro, che proprio con il ricavato dei nuovi titoli può pagare lo stipendio a 3,5 milioni di dipendenti pubblici, l’assegno mensile a 20 milioni di pensionati, oltre a sanità, istruzione, giustizia e difesa. Il tutto per dare soddisfazione al dottor Wolfgang Schäuble, il quale, soltanto dopo avere incassato questa «riforma», si dice disposto a dare vita al fondo di garanzia previsto dall’Unione bancaria, mettendoci dentro soldi tedeschi. Insomma, ti spara in fronte, e la chiama solidarietà.

Non è dunque un caso se la ricerca di Mediobanca Securities, nelle conclusioni, incita i politici italiani a farsi sentire, e chiede a Renzi di continuare a resistere alle richieste tedesche «dopo che i troppi sì detti dai Paesi periferici d’Europa ci hanno portato a questa crisi». Sulla stessa lunghezza d’onda, sono da segnalare anche alcuni giudizi di Innocenzo Cipolletta, ex direttore generale della Confindustria, ora presidente dell’Università di Trento, nonché presidente dell’Aifi e di Ubs Italia Sim, che non esita a prendere le distanze dal conformismo europeista dei giornaloni.

«Inserire nuovi vincoli, come vorrebbe la Germania, al possesso di titoli pubblici da parte delle banche, avrebbe conseguenze disastrose non solo per le banche, ma anche per l’economia di molti Paesi, tra i quali certamente l’Italia», sostiene Cipolletta. «Dire che i titoli pubblici sono a rischio, e quindi richiedere delle coperture di capitale da parte delle banche che li possiedono, equivale a mandare un messaggio ai mercati sulle possibilità che un Paese può fallire. E se lo dice un’autorità come il ministro delle Finanze tedesco, o la Commissione di Bruxelles, cosa devono fare gli operatori, se non vendere? Il problema è quindi quello di un’Europa senza governo, dove ci sono delle regole che i singoli Paesi devono rispettare, come il divieto di aiuti di Stato, il bail in, i bilanci in pareggio, che hanno un senso se esistesse un governo centrale. Un governo che, come è accaduto negli Stati Uniti, in caso di bisogno fosse in grado di intervenire con politiche fiscali o finanziarie per evitare crisi sistemiche o periodi di stagnazione eccessivamente lunghi».

Se vi sembrano parole simili a quelle di Renzi, avete ragione. Ma sentite il resto: «L’Europa a trazione tedesca sta commettendo un errore enorme. Si dice: prima raggiungiamo l’equilibrio tra i vari Paesi e quindi dei loro bilanci pubblici, della loro competitività, delle loro banche, e poi procediamo verso più stretti legami nelle finanze pubbliche e nella politica. È una strada che non ci porterà da nessuna parte. Quando mai le varie regioni di un paese hanno raggiunto l’uniformità prima di unirsi? Ancora oggi questa uniformità non c’è in Italia, o in Francia, ma neanche in Germania e in Inghilterra». Più avanti, sempre Cipolletta: «Occorrerebbe un governo federale, più forte dell’attuale Commissione di Bruxelles, che ormai fa una politica sempre meno comprensibile, trattando in maniera diversa i vari Paesi, in balìa degli strattonamenti dei più forti. La situazione è molto difficile. Non vedo svolte a breve. Certo, l’attuale sistema non sembra in grado di continuare a lungo. L’Europa sta sbagliando tutto: o cambia, o non regge».

(Articolo del quotidiano Italia Oggi pubblicato su Formiche.net grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)

germania,

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