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Le stragi di Bruxelles hanno distolto l’attenzione dell’Europa dai suoi cronici problemi economici e finanziari. Dal 1° aprile, come già annunciato, il Quantitative Easing (QE) della Bce passerà da 60 a 80 miliardi di euro al mese per un ulteriore tentativo di stimolare la ripresa. Dunque la Bce acquisterà più titoli di Stato e accetterà anche le obbligazioni delle imprese europee più solide alla ricerca di finanziamenti. Al di là degli effetti immediati, che non si preannunciano sconvolgenti, è intanto il caso di guardare la vicenda in una prospettiva di più lungo termine poiché le decisioni di oggi hanno effetti sul futuro. Ci limitiamo ad alcune brevi osservazioni che hanno solo lo scopo di stimolare gli esperti ad approfondire.

Prima osservazione. Gli 80 miliardi saranno ripartiti non secondo i bisogni dei Paesi membri dell’eurozona ma in proporzione alle quote che essi hanno presso la Bce. La Germania, con una quota del 17,99% del capitale versato, potrà avere 14,4 miliardi di euro al mese da scambiare con i suoi titoli di Stato; la Francia, con il 14,7%, potrà raggiungere gli 11,2 miliardi; l’Italia, con una quota del 12,31, arriverà a 10 miliardi. E così via. La Grecia, ad esempio, con il 2,03%, potrà scambiare titoli per 1,6 miliardi. Ovvio che la Germania ne ha meno bisogno della Grecia, ma in campo finanziario, chi più ha, più avrà. Risultato: le disuguaglianze nell’area dell’euro, anziché diminuire, aumenteranno. Almeno a rigore di logica.

Seconda osservazione. Le banche dei singoli Paesi, dove più e dove meno, si sono riempite di titoli di Stato. Le banche italiane, ad esempio, ne hanno in pancia più di 400 miliardi. Ora ne potranno cedere in maggiore quantità alla Bce, ottenendo in cambio liquidità. In sostanza, quindi, l’operazione decisa da Mario Draghi di aumentare il QE serve ad alleggerire un po’ gli asset delle banche. Il punto da verificare è se le banche, liberandosi di un po’ di titoli e avendo a disposizione nuova liquidità, continueranno ad acquistare nuove emissioni o daranno più credito a famiglie e imprese.

Terza osservazione. La Bce non acquisterà titoli né sconterà le obbligazioni delle imprese su richiesta, ma vaglierà caso per caso, ovvero diventerà anche un’agenzia di rating sia per i titoli di Stato sia per le obbligazioni delle imprese, entrando in concorrenza con le tre note agenzie americane e quella cinese che tenta di farsi largo.

Quarta osservazione. Nella Bce si accumulerà una quantità enorme di titoli di Stato dei diversi Paesi. In pratica, accentrerà una parte considerevole dei debiti pubblici. Che cosa intende farne? Tenerli separati e poi rimetterli sul mercato quando se ne presentasse l’occasione, oppure fonderli in un nuovo titolo, un eurobond, da collocare sul mercato? Sarebbe, in questo caso, un passo verso l’unificazione del debito e la prova concrete che l’Unione europea è una vera unione e non una somma di interessi in concorrenza, aprendo la strada anche ad una vera politica economica europea. Alla scadenza, comunque, i titoli devono essere rimborsati, ma potrebbero essere convertiti in eurobond.

Quinta osservazione. L’accoglienza sul mercato di questi eventuali eurobond, che poi sarebbero i titoli di Stato dei diversi Paesi riciclati e rietichettati, sarebbe indubbiamente positiva, ma i Paesi che continueranno ad emettere bond nazionali dovrebbero renderli molto più appetibili degli eurobond, offrendo interessi adeguati. Conseguenza paradossale: la Bce, volendo con il QE fornire più liquidità alle banche, con gli eurobond attirerebbe il denaro dei risparmiatori che altrimenti si sarebbe, almeno in parte, depositato nelle banche, aumentando la loro capacità di concedere crediti. Se poi le grandi imprese collocheranno le loro obbligazioni presso la Bce, a che cosa si ridurrà la funzione delle banche nazional-regionali?

Ha una logica tutto questo? Se Draghi rifiuta la helicopter money, di fatto pratica una submarine money di cui solo lui conosce la rotta.

5 domande sull'efficacia delle prossime cartucce che sparerà la Bce di Draghi

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