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L’Europa si muove. La direzione resta da definire, ma il moto è innegabile. A meno di una settimana di distanza dal Consiglio europeo straordinario che ha approvato il piano di riarmo presentato dalla Commissione e che ha ribadito il sostegno dell’Europa all’Ucraina, fori politici, economici e militari si incontrano per delineare il futuro della sicurezza del Vecchio continente. L’Unione europea si trova davanti a due sfide in contemporanea: da un lato la necessità di riarmarsi, dall’altro quella di continuare ad armare l’Ucraina, che sul campo di battaglia già inizia ad accusare l’interruzione degli aiuti statunitensi. Sebbene l’Ue abbia mobilitato (e sia in grado di mobilitare) gli stessi capitali degli Usa, lo stesso non si può dire per quanto riguarda la produzione di mezzi, munizioni ed equipaggiamento. L’industria militare europea si è drasticamente ridimensionata a seguito della fine della Guerra fredda e senza un impegno di lungo termine da parte degli Stati le aziende non disporrebbero delle garanzie sufficienti per impegnarsi in un processo di riespansione delle proprie linee produttive. Con gli Stati Uniti apparentemente determinati a perseguire un disimpegno strategico dal continente, i piani che verranno messi a terra nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, sia sul livello politico sia su quello economico, saranno cruciali per determinare se e quale ruolo assumerà l’Europa sullo scacchiere internazionale.

Finalmente, la volontà politica

“Abbiamo il potere economico e ora, finalmente, anche la volontà politica”. Così Ursula von der Leyen si è rivolta al Parlamento europeo prima del dibattito sulla sicurezza in Europa. L’Eurocamera è ora chiamata a supportare il resto delle istituzioni comunitarie nella definizione delle strategie e delle modalità entro le quali verrà sviluppato il futuro della difesa europea, dal rilancio dell’industria all’armonizzazione dei piani di procurement. Come ricordato anche da von der Leyen, il Parlamento, che non possiede in questo senso reali poteri decisionali, ha discusso per anni sulla necessità di rilanciare la difesa comunitaria e altrettanto a lungo ha avvertito sui rischi derivanti da un’eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti. “Avevate assolutamente ragione”, ha ammesso la presidente della Commissione davanti agli eurodeputati. Tuttavia, ora che gli Stati, riuniti nel Consiglio, hanno dato il via libera al riarmo europeo, i lunghi anni di studio e dossieraggio portati avanti dal Parlamento potranno essere messi a disposizione della causa comune della difesa. Ciò rappresenta un vantaggio non indifferente. Infatti, anziché partire completamente da zero, i decisori potranno basare le loro prossime mosse su un vasto repertorio di documenti, analisi e strategie mai veramente presi in considerazione a causa delle divisioni tra gli Stati sul tema della Difesa. Inoltre, in quanto unico organo comunitario eletto direttamente dai cittadini europei — e pertanto titolare del maggior grado di legittimità democratica — il Parlamento sarà centrale per garantire il dialogo con l’opinione pubblica europea, notoriamente distante dai temi della difesa e della sicurezza. 

All’Ecofin, tutti i nodi sui finanziamenti per il riarmo

Si fa in fretta a dire di investire di più sulla Difesa, tuttavia, in un continente recentemente gravato da due grandi crisi — una finanziaria nel 2011 e una dell’economia reale durante la pandemia — e ancora diviso sul piano della fiscalità, il rischio che alcuni Stati si trovino costretti a dover sottrarre risorse al welfare per finanziare il loro riarmo è concreto. Su questo si è concentrato il ministro dell’economia italiano, Giancarlo Giorgetti, in occasione dell’Ecofin, la configurazione del Consiglio europeo che riunisce i ministri delle finanze degli Stati membri. L’Italia “non può concepire il finanziamento della difesa a scapito della spesa sanitaria e dei servizi pubblici”, ha sottolineato il ministro, pur garantendo l’impegno di Roma per la difesa comune. Per rendere socialmente sostenibile il riarmo, Giorgetti ha proposto la creazione di un fondo di garanzia comunitario per ottimizzare l’utilizzo delle risorse nazionali attraendo investimenti privati. Secondo il ministro, con una garanzia europea di 16 miliardi di euro si potrebbero attrarre investimenti per un valore di 200 miliardi. Tuttavia, il nodo più rilevante rimane il debito. Pur avendo abbandonato l’era del rigore sul debito, la Germania — chiave di volta di qualsivoglia politica economica europea — rimane vaga sulla possibilità di emettere degli Eurobond per la Difesa. Eppure, la chiusura non è totale. Come affermato da Jörg Kukies, ministro delle finanze tedesco, la Germania sarebbe aperta a valutare forme di finanziamento comune per quelli che definisce “veri progetti europei”. Vale a dire, no alle garanzie sui mercati per programmi a debito gestiti dai singoli Stati — di cui Berlino non si fida —  ma sì per iniziative concertate in sede europea. Potrà sembrare poco, ma è molto più di quanto la Germania abbia mai concesso finora. Ogni prospettiva di debito comune continua ad essere fortemente avversata dal fronte dei Paesi cosiddetti frugali, Paesi Bassi in testa. Tuttavia, se Berlino dovesse cedere su questo punto, difficilmente i frugali potrebbero continuare a opporre resistenza, pena l’essere esclusi da una iniziativa che si compirebbe con o senza la loro partecipazione. Il nodo economico rimane forse uno dei temi più complessi intorno alla questione del riarmo europeo, eppur si muove. E chi è uso a seguire il dibattito sulla difesa europea sa quanto questo fosse tutt’altro che scontato. 

I capi di Stato maggiore riuniti a Parigi

Nel frattempo, a Parigi si incontrano gli Stati maggiori di oltre trenta Paesi per discutere sul futuro delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Convocati dal presidente francese, Emmanuel Macron, i vertici militari europei saranno impegnati in una due giorni che discuterà della possibilità di creare una Forza di sicurezza multinazionale da stanziare in Ucraina a seguito di un cessate il fuoco. Nei piani di Francia e Regno Unito, principali promotori dell’iniziativa, tale forza dovrà costituire un valido deterrente convenzionale per impedire alla Russia di riprendere le ostilità dopo essersi leccata le ferite degli ultimi tre anni di guerra. Presente a Parigi anche il generale Luciano Portolano, capo di Stato maggiore della Difesa, la cui partecipazione però, segnalano fonti di governo, sarà solo a titolo di osservatore, dal momento che l’Italia, ricorda il ministro degli esteri Antonio Tajani, non intende inviare truppe in Ucraina se non come parte di una decisione adottata dalle Nazioni Unite. 

Tuttavia, per ora, il dato più importante rispetto al summit di Parigi riguarda gli Stati partecipanti, non solo europei. Hanno infatti deciso di partecipare a vario titolo diversi Stati extra-europei, tra cui Canada, Giappone, Australia, Corea del Sud e Nuova Zelanda. All’appello del fronte occidentale mancano dunque solo gli Stati Uniti, i quali, si apprende dagli organizzatori del summit, “non sono stati invitati”.

Riarmo, debito e garanzie all’Ucraina. Così l'Europa si muove sulla Difesa

Dopo decenni di esitazioni, l’Europa sembra decisa a dare una svolta alle sue politiche di difesa. Mentre a Bruxelles le istituzioni comunitarie fanno quadrato per ridurre la frammentazione politica e strategica dell’Unione, i ministri delle Finanze si confrontano su come evitare che le spese per la Difesa erodano le basi dello stato sociale in Europa. Sviluppi anche sul piano militare, con i capi di Stato maggiore di oltre 30 Paesi riuniti a Parigi per discutere del futuro della sicurezza dell’Ucraina. Grandi assenti gli Stati Uniti, i quali, rendono noto fonti francesi, “non sono stati invitati”

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