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A qualche giorno dalla notizia della morte improvvisa dell’oppositore russo Alexei Navalny l’indignazione continua a montare a Occidente. Parlando dal palco della conferenza sulla sicurezza di Monaco la moglie di Navalny, Yulia Navalnaya, ha definito il presidente russo Vladimir Putin personalmente responsabile della morte del marito e attivista russo. Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha attribuito la responsabilità del crimine a Putin. Dal canto suo, il Cremlino ha respinto le accuse di Biden come un’interferenza “inaccettabile” negli affari interni della Russia. Ma oltre l’ondata di indignazione internazionale il grande interrogativo è se le reazioni dell’Occidente avranno un serio impatto politico sulla Russia. Pavel Baev, research professor all’International Peace Research Institute di Oslo ed esperto dello spazio post-sovietico, ha esposto la sua opinione al riguardo in un articolo pubblicato sul sito della Jamestown Foundation.

Il primo possibile effetto potrebbe essere l’approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti del pacchetto di aiuti esteri da 95 miliardi di dollari destinato all’Ucraina (ma non solo) approvato dal Senato la scorsa settimana. Secondo l’esperto, la pressione morale per sbloccare la situazione, aumentata da quando Biden ha collegato l’omicidio di Navalny alla mancata approvazione del pacchetto di aiuti da parte del Congresso, potrebbe permettere di superare gli ostacoli di natura faziosa. Anche un maggiore sostegno da parte dell’Unione europea permetterebbe alle forze ucraine di mantenere le linee difensive. Tuttavia, Kyiv ha bisogno di una rinnovata ed estesa fornitura di hardware e munizioni militari statunitensi per prepararsi a una nuova controffensiva e riprendere l’iniziativa sul campo di battaglia.

In secondo luogo, la morte di Navalny potrebbe spingere a compiere progressi nel sequestro delle attività finanziarie russe detenute nelle banche occidentali e nel convogliare tali fondi verso la ricostruzione dell’Ucraina. Senza un’adeguata volontà politica, rimarca Baev, le discussioni legali su questo passo senza precedenti potrebbero continuare senza arrivare ad alcun esito di sorta. Una nuova determinazione a ritenere il regime di Putin responsabile dei suoi crimini, tra cui l’omicidio di Navalny, può contribuire a mobilitare questa volontà. Così come potrebbe spingere anche verso un inasprimento delle sanzioni economiche, e in particolare verso maggiori restrizioni nelle esportazioni di idrocarburi.

La terza conseguenza diretta sarebbe un cambiamento nel modo in cui i leader occidentali vedono la possibilità di colloqui di pace con Putin. Baev interpreta la recente intervista rilasciata dal presidente russo al giornalista statunitense Tucker Carlson anche come un tentativo di trasmettere ai legislatori statunitensi la sua disponibilità a porre fine alla guerra, se ci fosse un voto che interrompesse il sostegno all’Ucraina. Una pausa nelle ostilità permetterebbe a Mosca di ricostruire la sua degradata macchina militare e di esercitare una nuova pressione militare sui suoi vicini. Le tentazioni esistono, su entrambe le sponde dell’Atlantico, e soprattutto in quella statunitense. Tuttavia, il caso Navalny ha affossato (o almeno sembra) irreparabilmente la credibilità di Putin.

La morte di Navalny non è una questione che riguarda solo Putin. Secondo Baev con la morte di Navalny i membri dell’establishement dell’apparato statale russo hanno perso ogni possibilità di sbarazzarsi del loro capo, di addossargli la colpa della disastrosa guerra e di mantenere così in vita il sistema di potere di cui Putin è soltanto un epifenomeno. Pur non essendo la scintilla della sua fine, la morte colposa di Alexey Navalny rappresenta un giro di boa per l’apparato di potere russo. Che deve combattere sia il nemico esterno al fronte, che un nemico interno dentro i suoi confini.

Tre conseguenze della morte di Navalny che Putin non aveva calcolato

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