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Sui giornali prosegue la campagna di “informazione” contro le modalità con cui la Commissione Ue ha imposto all’Italia la risoluzione delle nostre quattro banche commissariate.

Il punto centrale del contendere è il solito: il presunto doppiopesismo della Commissione Ue a favore della Germania e contro il nostro paese, a cui sarebbe stato impedito di usare una struttura formalmente ma fintamente privatistica, quale è il Fondo Interbancario di tutela dei depositi, per soccorrere le quattro banche commissariate. Intervento che, secondo la tesi italiana, avrebbe evitato il bail-in degli obbligazionisti subordinati.

A sostegno della tesi del complotto euro-tedesco, i nostri media hanno scelto di citare ossessivamente due casi europei recenti, HSM Nordbank in Germania e Banif in Portogallo. Oggi sul Corriere riuscirete anche a leggere un assai ardito parallelo tra il salvataggio della italiana Tercas e quello di HSH. Nel caso di Tercas, la Ue aveva aperto una procedura di infrazione contro l’Italia, rea di avere usato il Fondo interbancario per ripianare le perdite della banca ed agevolare l’acquirente, Banca Popolare di Bari. Per questo motivo, il Fondo ha dovuto creare una sezione “volontaria”, fatta di banche “volenterose”, fuori dagli schemi di contribuzione obbligatoria, e vissero tutti felici e contenti.

Il punto della Commissione Ue è molto semplice: l’intervento del Fondo Interbancario italiano avveniva, nelle stesse parole del governo italiano, per assicurare “la stabilità del sistema bancario”, quindi rivestiva finalità pubbliche, non private di settore. Secondo le norme europee, questo è aiuto di stato illegittimo, o meglio l’intervento di un organo/istituzione (anche se operante in regime formalmente privatistico) per finalità pubbliche fa scattare la procedura di risoluzione, che implica il bail-in, cioè l’attacco alle obbligazioni subordinate. Cosa possa mai azzeccarci il caso di Tercas con HSH Nordbank a noi sfugge completamente.

Perché, leggete le mie labbra, HSH Nordbank era una banca pubblica, lo era dalla fondazione, nel 2003, ed ha continuato ad esserlo. Stesso identico discorso per la portoghese Banif, pubblica da due anni. In entrambi i casi, la Commissione Ue ha accettato l’erogazione di fondi pubblici perché propedeutici alla cessione a privati delle banche (pubbliche) risanate emerse dalla procedura. Non è che gli aiuti pubblici siano vietati sempre e comunque: questo pare non essere ancora chiaro a molti, in Italia. Ripetiamo anche questo: il bail-in serve per evitare i bail-out, cioè per evitare che i contribuenti di un paese paghino per dissesti bancari. Ma se la banca in dissesto è pubblica, i contribuenti pagano comunque. Punto. Proviamo con un disegnino?

La realtà è questa: il nostro governo ha scelto di risolvere le quattro banche ed incenerire gli obbligazionisti subordinati, e lo ha fatto autonomamente, dopo che la Commissione aveva “soltanto” vietato l’uso del fondo interbancario.

Che significa, questo? Che nessuno vietava al governo italiano di procedere comunque al bail-in degli obbligazionisti subordinati senza azzerarli irreversibilmente da subito. Ad esempio, trasformandoli in azionisti delle banche risolte, oppure facendoli partecipare all’eventuale recupero delle sofferenze oltre il valore iniziale del 17,6% trasferito alla bad bank. Avrebbero comunque preso spiccioli, e solo tra molti anni? Forse. Ma il loro azzeramento senza possibilità di appello appare frutto esclusivo di scelte del governo italiano e non realizzato sotto dettatura puntuale della Ue, sino a prova documentale del contrario.

Estratto di un articolo più ampio che si può leggere su phastidio.net

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