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Complimenti all’amico Giuliano Cazzola per il suo dichiarato “pesce d’aprile” affidato a Formiche.net dopo un sarcastico commento a quello strano reato di “traffico di influenze illecite” inventato, diciamo così, dall’ex ministra della Giustizia Paola Severino nel 2012 e contestato dai magistrati di Potenza al convivente dell’ormai ex ministra, pure lei, dello sviluppo economico Federica Guidi. Della quale si potrebbe pertanto dire, ad occhio e croce, che ha perso il posto di governo, e forse rischia anche un procedimento giudiziario, per essersi fatta influenzare dagli interessi del suo compagno di vita con l’emendamento alla legge di stabilità del 2015 che sbloccò l’affare petrolifero di Taranto noto come Tempa Rossa, con propaggini importanti in Basilicata.   

Eun affare, targato soprattutto Total, contrastato dagli immancabili ambientalisti e appendici partitiche ma condiviso, prima ancora dell’allora ministra Guidi, dal presidente del Consiglio in persona Matteo Renzi in un incontro sul posto con i contestatori, convinto che i vantaggi per la collettività fossero, e siano tuttora, superiori agli inconvenienti, reali o presunti.

Di questa convinzione, visto che ha tenuto a ribadirla anche dopo aver dovuto condividere l’opportunità delle dimissioni della Guidi dopo la diffusione di una telefonata al compagno intercettato su ordine dei magistrati, non si può escludere che salti in mente a qualche toga di chiamare Renzi a rispondere davanti al tribunale dei ministri, anche lui per avere subìto chissà quale influenza. Come forse si aspettano le opposizioni, già indaffarate con la solita, immancabile pratica delle mozioni di sfiducia al governo, visto che quella “personale” contro la Guidi è stata sventata dall’interessata con le dimissioni. E quella ipotizzata contro la ministra Maria Elena Boschi, partecipe della modifica alla legge di stabilità del 2015 per il suo ruolo di collegamento con le Camere, avrebbe forse seri problemi di ammissibilità, per quanto forte e datata sia la voglia degli avversari di Renzi di colpire quella che viene considerata la figura di governo più vicina a lui, quasi una controfigura. Che è sopravvissuta, come tale, anche alle spallate tentate per il coinvolgimento familiare nel dissesto e poi nel salvataggio della Banca Etruria.

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Il pesce d’aprile di quel diavolo di Cazzola, nel quale confesso di essere caduto andando a consultare il notiziario dell’Ansa e i comunicati del Quirinale, entrambi chiamati ironicamente in causa dallo stesso Cazzola, è consistito nell’annuncio di una convocazione del senatore a vita ed ex presidente del Consiglio Mario Monti sul colle più alto di Roma. Dove il presidente della Repubblica Sergio Mattarella moriva, sempre nella fantasia di Cazzola, dalla voglia di consultare l’esimio professore sulla “situazione economica e politica del Paese”, e “valutare quali iniziative opportune assumere nell’ambito delle prerogative costituzionali del capo dello Stato”.

La politica italiana è diventata ormai tanto capricciosa e imprevedibile, a dir poco, che tutto, proprio tutto sembra possibile. Persino una bizzarra convocazione di Monti al Quirinale dopo le dimissioni di un ministro, e davanti alla mobilitazione delle opposizioni contro un presidente del Consiglio peraltro trattenuto oltre Oceano da impegni internazionali.

 

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Un altro buon pesce d’aprile avrebbe potuto essere l’annuncio di una convocazione straordinaria del Consiglio Superiore della Magistratura per valutare le curiose circostanze degli sviluppi di un’inchiesta giudiziaria in corso da un bel po’ di tempo in Basilicata su estrazioni petrolifere, rifiuti e quant’altro. Circostanze curiose perché coincidenti con le ultime due settimane di una campagna referendaria che, pur riguardando solo le trivellazioni marine per ricerca di petrolio e gas, ha attinenze emotive e politiche con ricerche analoghe sulla terraferma di una zona piena non si sa bene se più di risorse o di tensioni sociali ad esse connesse.

 

Non a caso, del resto, i sostenitori del sì al referendum, e del no alle trivelle, si sono affrettati a cavalcare le cronache giudiziarie sull’affare Tempa Rossa e  le conseguenti implicazioni politiche per portare acqua al loro mulino. E per fare passare l’idea, o insinuare il sospetto che il petrolio sia una specie di anticamera di morte, malattie, corruzioni e quant’altro. Da Tangentopoli siamo passati a “Trivellopoli”, come hanno titolato a tutta pagina al Manifesto in improvvisa sintonia umorale, se non politica, con i colleghi di Liberoche nel solito fotomontaggio di copertina hanno imbrattato di petrolio Renzi e il suo governo.

Petrolio e gas, come l’energia nucleare, é meglio farli cercare e produrre altrove, acquistandoli a prezzo maggiore per i consumi nazionali, per tenersi alla larga da rischi, veri o presunti, di inquinamenti ambientali e morali. Così reclama una certa sinistra bucolica e trasversale. La vicenda Guidi è stata, in questa ottica, un vero affare. O una cartina di tornasole.

 

maria elena boschi pizzi_31

Renzi, Boschi, Guidi e le stranezze di Trivellopoli

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