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Ieri Reuters ha riportato che la Banca centrale europea avrebbe inviato a un campione di banche sotto la sua supervisione un questionario relativo ai rispettivi carichi di non performing loan, allo scopo di raccogliere indicazioni per sorvegliarle. La Banca Centrale Europea avrebbe istituito una task force per tenere sotto controllo le banche con i maggiori ammontari di sofferenze, allo scopo di suggerire azioni. L’azione, oltre a risultare sorprendente alla luce dei numerosi stress test già effettuati, tocca un nervo scoperto del mercato in questi giorni, in particolare in Italia, unico tra i principali paesi periferici a non aver ancora affrontato strutturalmente i problemi del sistema bancario (in Irlanda, Spagna e Grecia vi sono stati interventi finanziati con denaro pubblico ed europeo).

Le news sull’ECB fanno sospettare ulteriori richieste in termini di accantonamenti e incrementi di capitale. Oltre a ciò, si infiamma il dibattito sui prezzi a cui andrebbero valutate le sofferenze da trasferire alla eventuale bad bank. Ai livelli di mercato, ipotesi apparentemente portata avanti dall’EU, il trasferimento imporrebbe significativi aumenti degli accantonamenti, e aumenti di capitale negli istituti più deboli.

Personalmente osservo: che senso ha costituire una bad bank per rilevare i non performing loans a prezzi di mercato? Tanto vale venderli, cosi come sono, ai professionisti del settore, e risparmiarsi la fatica. Tra i fini dell’istituzione di una bad bank vi è quello di prendersi il tempo per valorizzarli, lasciando eventuali plusvalenze a favore degli istituti titolari, che nello stesso tempo vengono sgravati dell’onere di gestirle e possono riprendere l’attività. Sbaglio?

In questo senso, spero che le istanze EU siano più una tattica di negoziazione che non una richiesta reale, e mi auguro che il massacro degli ultimi giorni produca significativi avanzamenti nella trattativa. E’ davvero ora.

Di fronte a questo sfacelo, la riunione di giovedi si fa interessante. Il deterioramento delle varie misure delle condizioni monetarie, dall’ultimo meeting, è evidente. Le attese di inflazione sono tornate sui minimi di agosto, i tassi reali sono saliti di 30 bps, gli spread del credito si sono allargati di 25 bps sull investiment grade, 100 bps sull high yield, 25 bps sul bancario senior e 55 sul bancario subordinato. In 3 casi su 4 si tratta dei massimi da oltre un anno.
Diciamo che la falange dei falchi, che ha con ogni probabilità bloccato la mano a Draghi il 3 dicembre scorso, troverà difficile affermare ancora che “quanto erogato è sufficiente”.

Il problema è che rimettere mano, dopo un mese, al policy mix è per lo meno imbarazzante per il Governing Council. Draghi potrebbe tentare di tranquillizzare gli animi con la retorica. Ma l’errore di comunicazione avvenuto a novembre rende la cosa più complicata: come potrebbero i mercati fidarsi di promesse dopo quella incresciosa vicenda? E’ probabilmente per questo motivo che non vi sono state particolari indiscrezioni in questi giorni, in materia di politica monetaria, al contrario di quanto osservato nel run up verso il meeting di dicembre.

Draghi dovrà essere assai esplicito, se intende segnalare interventi per il 10 marzo. Personalmente, visto il rapido evolversi della situazione, propendo per un vigoroso impegno ad agire nuovamente a marzo se la situazione non cambia, ma non escluderei sorprese anche giovedi, se il ritmo del deterioramento resta quello delle ultime ore. Non si è più parlato degli acquisti di corporate. Ma visto il vento che tira sul settore, con la liquidità in caduta verticale, mi sembrerebbe una mossa azzeccata. Anche perchè per ottenere effetti rilevanti, sarebbero sufficienti importi ridotti. Ma certo la resistenza nel Governing Council sarà forte su questo punto.

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