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Il summit dei ministri delle finanze e dei banchieri centrali del G20, recentemente tenutosi a Shanghai, ha dato un messaggio preoccupante sul futuro dell’economia e della finanza globale. Ha riconosciuto apertamente che le politiche lanciate dopo la grande crisi non stanno producendo i risultati positivi desiderati. “La politica monetaria, da sola, non riesce a promuovere una crescita bilanciata”, è scritto nella dichiarazione finale, per cui il G20 dovrebbe promuovere un programma coordinato di stimoli attraverso “l’uso flessibile della politica fiscale per rafforzare la crescita, l’occupazione e la fiducia”.

Sono solo enunciazioni di buona volontà. Mancano azioni concordate e progetti reali di rilancio dell’economia. Nel contempo vi è una lunga lista di preoccupate dichiarazioni come “eccesso di volatilità, movimenti disordinati sui mercati dei cambi, pesante caduta nei prezzi delle commodity, accresciute tensioni geopolitiche, rischi di revisione al ribasso delle aspettative economiche globali”. Il dato è che l’altalena dei mercati, purtroppo, continua mentre i governi e le economie procedono in ordine sparso, ognuno per proprio conto e anche in aperta competizione sia sul fronte monetario che finanziario.Perciò è assai interessante il fatto che negli ultimi giorni alcuni dei maggiori attori economici, attivi durante la crisi del 2007-8, abbiano espresso pubblicamente i loro dubbi sulle attuali strategie economiche e finanziarie.

Mervyn King, governatore della Bank of England nel periodo 2003-2013, ha recentemente affermato che “le maggiori banche dei più grandi centri finanziari del mondo avanzato hanno fallito il loro ruolo, provocando un crollo generalizzato della fiducia e la più grave recessione dopo quella degli anni trenta. Come è successo? È stato il fallimento degli uomini, delle istituzioni o delle idee? Se non si comprendono le cause sottostanti alla crisi non capiremo mai quello che è successo e saremo incapaci di prevenire una sua ripetizione e di sostenere una vera ripresa delle nostre economie”. Persino Alan Greenspan, che per vent’anni ha governato la Federal Reserve fino alla vigilia della crisi, ha ammesso che la riforma finanziaria americana, conosciuta come la legge Dodd-Frank, ha fallito. “Avrebbe dovuto affrontare i problemi che avevano portato alla crisi del 2008, ma non lo sta facendo. Le banche ‘too big to fail’, troppo grosse per poter fallire, erano la questione cruciale allora e lo sono anche adesso. Gli investimenti nei settori reali sono molto al di sotto della media perché l’incertezza sul futuro continua a dominare”. Purtroppo è così.

Infatti molti indicatori dimostrano che la finanza sta pericolosamente operando con il vecchio schema del “business as usual”. Ad esempio, un recente studio del Credit Suisse prova che il mercato globale del “leveraged finance”, dopo la contrazione registratasi a seguito della crisi, è ritornato ai suoi massimi livelli. Il “leveraged finance” comporta l’accensione di prestiti sulla base di un capitale minimo dato in garanzia (la famosa leva del debito) per acquistare titoli, soprattutto prodotti finanziari ad alto rischio come i derivati. In pratica si scommette prevedendo un guadagno superiore ai costi del capitale preso a prestito. Sono tutte operazioni fatte dalle grandi banche!

Nel periodo 2011-14 questo mercato a livello mondiale è cresciuto del 42%. L’esposizione delle banche europee è anch’essa aumentata, anche se in dimensioni minori, del 16%. Nel 2014 le banche europee hanno incassato ben 5 miliardi di dollari con tali operazioni speculative. È riconosciuto da tutti, a cominciare dalle banche centrali e dalle altre agenzie di controllo, che, nonostante siano consapevoli dell’enorme rischiosità dei citati giochi finanziari, continuano ad astenersi dall’intervenire per disciplinarli. Sono anche il frutto amaro della politica del tasso di interesse zero che oggettivamente spinge sui facili sentieri della speculazione. Ancora una volta quindi il G20 ha concluso i propri lavori predicando rigore ma con un negativo e clamoroso nulla di fatto che consente il solito “laissez-faire”.

Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia e Paolo Raimondi, economista

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