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Le elezioni per il rinnovo del Parlamento e dell’Assemblea degli Esperti in Iran si sono concluse nella notte del 26 febbraio, registrando secondo i primi dati diramati dalle autorità una buona affluenza di elettori.

Circa 50 milioni di iraniani sono stati chiamati ed esprimere il proprio voto per rinnovare il Parlamento e l’Assemblea degli Esperti, nelle prime elezioni successive alla rimozione delle sanzioni che costituiscono un vero e proprio banco di prova per il governo presieduto da Hassan Rohani.

Si tratta di elezioni particolarmente importanti per il futuro dell’Iran, dove si contrappongono le forze delle coalizioni riformiste e pragmatiche a quelle più conservatrici, con l’obiettivo di consolidare il proprio peso e potere e poter quindi influire in maniera più incisiva nella determinazione delle scelte di politica estera ed economica del prossimo futuro.

Non sono mancate le polemiche anche in queste elezioni, soprattutto in conseguenza della squalifica di numerosi candidati riformisti da parte del Consiglio dei Guardiani, con scambi di accuse reciproche tra gli schieramenti e timori per la possibilità di un calo nell’affluenza alle urne. Rischio che, stando almeno ai primi comunicati diramati, sembrerebbe essere stato scongiurato.

I primi sondaggi indicano un buon risultato per le formazioni di ispirazione pragmatica e riformista, indicando quindi potenzialmente un successo per la politica del presidente Rohani e una conferma del suo operato da parte dell’elettorato.

Non bisogna tuttavia trascurare come in Iran le formazioni politiche che si presentano alle elezioni tendano ad avere un connotato a “geometria variabile”, che viene quindi a mutare nella successiva fase dell’insediamento, dando vita a nuove forme di alleanza.

È quindi prevedibile che queste elezioni, nonostante una crescita del fronte moderato, saranno poi caratterizzate da un quadro politico tutto sommato stabile ed equilibrato, capace di rappresentare tutte le anime del complesso spettro ideologico iraniano.

Gli elettori iraniani sono stati chiamati ad eleggere il nuovo Parlamento (Majles) e l’Assemblea degli Esperti (Majles-e Khobregan), i due organi eletti a suffragio universale cui sono demandati il potere legislativo da una parte e la scelta e la supervisione sull’operato del Rahbar, la Guida Suprema, dall’altra.

Il Parlamento è composto da 290 membri ed è l’organo istituzionale incaricato di redigere le leggi dello Stato, dopo che queste siano state approvate dal Consiglio dei Guardiani – organo non elettivo chiamato a valutare la conformità delle leggi proposte con i principi religiosi.
L’Assemblea degli esperti, composta da 88 membri – teologi con una comprovata conoscenza del diritto islamico – è invece l’organo cui la Costituzione delega la scelta e la successiva supervisione dell’operato del Rahbar, la Guida Suprema della Rivoluzione Islamica.

Il Parlamento e l’Assemblea rappresentano due importanti elementi del tessuto istituzionale iraniano, soprattutto per la loro funzione di arena del dibattito politico nazionale, dove non di rado si confrontano posizioni politiche estremamente diverse e conflittuali tra loro. Mentre gli oppositori della Repubblica Islamica bollano entrambe le istituzioni come inutili e prive di reale potere, è al contrario vero che nell’ambito delle stesse vengono elaborate e definite la gran parte delle dinamiche politiche del Paese.

Mai come oggi, infine, è particolarmente importante la loro funzione ed il loro ruolo, nell’ambito di una ridefinizione delle linee generali della politica estera ed economica del paese che sarà oggetto di una lunga e laboriosa riflessione all’interno del grande e complesso sistema politico iraniano. Un sistema interessato da una fase di profonda trasformazione influenzata da un importante fase di transizione generazionale, che, nell’arco del prossimo decennio, determinerà – per ragioni squisitamente anagrafiche – il pressoché totale rinnovamento della classe dirigente del paese.
Gli schieramenti politici che si contrappongono in questa importante sessione elettorale per il Parlamento sono sostanzialmente tre, come le principali fazioni del sistema politico nazionale iraniano.

Nella città di Tehran, che rappresenta la più importante piazza elettorale del paese, a dominare la scena sono la coalizione riformista guidata da Mohammad Reza Aref e quella principalista di Ghlam Ali Haddad Adel. La prima è una grande coalizione di forze che include quelle puramente riformiste legate all’ex presidente Khatami ma anche quelle di principalisti come Ali Motahari, ed è forte di 30 candidati, tra cui sei donne. Sono dichiaratamente favorevoli al governo del presidente Hassan Rohani ed intendono sostenerne le prerogative di politica estera ed economica.

Lo schieramento di Haddad Adel raggruppa invece le sei principali formazioni principaliste nazionali, tra cui alcune di estrazione ultraconservatrice, come nel caso del Fronte della Perseveranza. I membri di questa coalizione sono parte di uno spettro ideologico e politico molto eterogeneo, che comprende al tempo stesso sia formazioni favorevoli al governo di Rohani, sia accesi oppositori. Si presentano anch’essi con una formazione di 30 candidati, tra cui sei donne.

Il terzo fronte politico raggruppa esponenti indipendenti o non interessati a stringere in questa fase alcun tipo di alleanza con le due principali formazioni, cercando quindi di essere eletti nel Parlamento per poi condurre la propria azione sul fronte della negoziazione.

Per quanto concerne l’Assemblea degli Esperti, infine, il presidente Rohani è il promotore di una coalizione pragmatica di ispirazione moderata e con ampie aperture al sistema riformista, composta da 16 candidati tra cui l’ex presidente Rafsanjani. Questa formazione, conosciuta con il nome di “Amici della moderazione”, si propone di rappresentare il contrappeso politico dell’ala più conservatrice e radicale, composta dagli schieramenti presieduti da tra noti anziani chierici conservatori chiamati dai giovani elettori il gruppo JYM, dalle iniziali di Ahmad Jannati, Mohammad Yazdi e Mohammad Taqi Mesbah Yazdi.

Chi vince e chi perde in Iran. L'analisi di Pedde

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