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I ministero del Petrolio e delle Risorse egiziano ha approvato la concessione per lo sfruttamento del giacimento di gas naturale Zohr all’italiana Eni. La ditta di San Donato Milanese prenderà in affitto il sito dalla nazionale Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS) e provvederà adesso a stilare il quadro contrattuale per sviluppare le estrazioni dal reservoir, che si trova off-shore nel Mediterraneo, praticamente al largo del canale di Suez, in un’area che prende il nome tecnico di Shorouk Concession.

Nel comunicato ufficiale del Cane a Sei Zampe si legge: “Il piano di sviluppo prevede l’avvio della produzione entro la fine del 2017, appena due anni dopo la scoperta, con una rampa progressiva fino a raggiungere un volume di circa 75 milioni di metri cubi di gas al giorno (pari a circa 500.000 barili di petrolio equivalente al giorno) entro il 2019”. Al progetto estrattivo collaboreranno Petrojet, Enppi e Saipem, e avrà un valore di circa 5 miliardi di euro.

LA SCOPERTA

La scoperta avvenuta l’agosto scorso è stato un Bingo per Eni e ha confermato la bontà della strategia industriale: mentre procedeva a grandi ritmi lo studio di shale oil e gas, la ditta italiana aveva deciso di scommettere sulle estrazioni tradizionali; Zohr è il secondo centro, dopo la scoperta di un altro importante giacimenti in Mozambico. Eni aveva avviato le esplorazioni per valutare il giacimento nel gennaio 2014, poi nell’agosto del 2015 la scoperta attraverso il pozzo Zohr-1, attraverso il quale, all’improvviso, l’Egitto del discutibile presidente/generale Abdel Fattah al Sisi s’è reso conto di essere seduto su un immenso patrimonio da poter sfruttare in una contingenza difficile. Infatti, fin dai tempi della Primavera araba, tutti gli analisti concordavano che il problema principale per il Cairo era sistemare i conti, questione da cui Sisi non è immune anche se riceve tributi internazionali da parte di Russia, Golfo e Occidente, che lo hanno acclamato come un al-limite-accettabile stabilizzatore di un’area difficile.

L’EVOLUZIONE DI SISI

A distanza di circa due anni dall’elezione del generale, e tre dal golpe, Sisi ha grosse difficoltà e pochi successi davanti a sé: il suo paese vive giornalmente la minaccia terroristica nonostante le persecuzioni contro la Fratellanza musulmana (accusata di essere il bacino culturale del terrore), perché l’area del Sinai è incontrollabile e di fatto è una provincia dello Stato islamico, che colpisce sovente il settore turistico come ricatto politico; in Libia, dove ha sostenuto strenuamente l’uomo forte del governo di Tobruk, il generale Khalifa Haftar, i risultati sono lontani, anzi, Haftar è proprio l’elemento di divisione che allunga l’epopea del governo unitario e favorisce indirettamente l’avanzata del Califfato; sul fronte interno le repressioni delle opposizioni sono ormai arrivate a galla, anche per conseguenza del caso che ha coinvolto il ricercatore italiano Giulio Regeni, e iniziano le accuse di violazione dei diritti umani che rendono il rais del Cairo ufficialmente non troppo potabile; inoltre, il paese vive ancora una dura crisi economica, che la scoperta di Eni potrebbero in parte risollevare.

L’EGITTO RESPIRA

L’Egitto non riesce a mandare avanti la rete elettrica a pieno regime, perché non ha soldi a sufficienza per comprare quei carburanti che servirebbero alla produzione; questione paradossale se si pensa che quegli stessi sono risorse detenute dal proprio paese, ma i debiti con le compagnie straniere, poi pian piano saldati anche grazie agli aiuti dal Golfo, avevano raggiunto cifre record (6 miliardi). La scoperta di Zohr non è la panacea completa, ma se si considera che il fabbisogno di gas annuale per l’Egitto è di 50 miliardi di metri cubi, e che il nuovo giacimento secondo i calcoli Eni è in grado di portarne al Cairo circa venti (forse trenta) allora è chiaro che le risorse a lungo termine liberate dalla scoperta sono enormi. Da qui il via libera allo sfruttamento è un passaggio ovvio.

Intanto, per i giorni che dividono la massima produttività, che Eni prevede per il 2019, l’Egitto ha stretto accordi con la russa Rosneft e con l’Algeria. Se Zohr riuscirà a portare a un po’ di stabilità economica all’Egitto attraverso forniture più economiche, anche gli alleati trarranno beneficio di un Cairo meno nervoso: per prima l’Italia, che ha stretto con gli egiziani rapporti economici e sulla sicurezza del Mediterraneo a fine marzo 2015, quando il premier Matteo Renzi incontrò Sisi al forum di Sharm el Sheikh e definì l’alleato egiziano come necessario per ogni progetto di stabilizzazione dell’area nordafricana (Renzi aveva in testa la Libia).

ASPETTI GEOPOLITICI

Il lunedì successivo all’annuncio della scoperta di Zohr da parte di Eni (fu annunciata di domenica), le azioni delle società energetiche israeliane crollarono di botto: fino a quel momento i giacimenti off-shore Leviathan e Tamar erano i principali nell’area (insieme ad Afrodite, rivendicato dal Libano, vicino a Cipro) e avrebbero permesso a Gerusalemme di chiudere accordi con Egitto, Cipro, Grecia, Giordania e Turchia. La scoperta del giacimento Eni spariglia le carte.

Il 28 gennaio a Nicosia Benjamin Netanyahu, il presidente cipriota Nicos Anastasiades e il greco Alexis Tsipras, hanno siglato un accordo per il passaggio a Creta, via Cipro, di un pipeline che uscirebbe dai due giacimenti per dirigersi in Europa: ci sono da vendere miliardi di metri cubi, secondo il ministro israeliano dell’Energia Yuval Steinitz. Davide Vannucci su East Journal spiega che dietro c’è anche una strategia politica: “Israele si trova isolato nella regione ed ha interesse a migliorare le relazioni con la Ue, che durante l’era Netanyahu hanno avuto più di un momento di tensione, per cui si avvicina al ventre molle dell’Unione, Grecia e Cipro, i quali hanno bisogno, a loro volta, di un’alternativa politica, oltre che del know-how israeliano”.

L’accordo che taglia fuori l’Egitto ha anche come mira difendersi da Zohr, dopo che lettere di intenti tra Israele e società spagnole e britanniche erano state firmate l’anno scorso per facilitare il passaggio di gas da Leviathan e Tamar all’Egitto, che però ora può far da sé. I giacimenti avrebbero legato ancora di più il Cairo e Gerusalemme, che già cooperano per la sicurezza nel Sinai (ad Israele più che altro interessano i passaggi al valico di Rafa verso Gaza e Hamas), se non fosse Zohr ha subito scombussolato parti della geopolitica mediterranea.

 

 

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