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La Libia rischia di diventare “la prossima emergenza”, come ha ribadito Matteo Renzi durante il suo incontro a Parigi con il presidente francese François Hollande.

Quasi quattro anni dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi, la Libia è ancora nel caos con due governi rivali e due parlamenti: la Camera dei Rappresentanti a Tobruk, riconosciuta dalla comunità internazionale, e il Congresso Generale Nazionale con sede a Tripoli, sostenuto dalla coalizione filo-islamista di Alba Libica.

DA LEON A KOBLER, GLI SFORZI DELLA DIPLOMAZIA 

La formazione di un governo di unità nazionale – dopo gli accordi raggiunti in ottobre a Skhirat in Marocco – deve ancora realizzarsi. Bernardino Léon, l’ex inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, in vista della scadenza del suo mandato, annunciò la formazione di un governo di unità nazionale guidato da Fayez El Sarraj, deputato della Camera dei Rappresentanti.

I partecipanti al processo di dialogo dovevano votare il nuovo governo prima del 20 ottobre. A più di un mese dalla scadenza però l’esecutivo libico non ha ancora visto la luce.

Anche se la maggioranza dei membri dei due parlamenti ha annunciato pubblicamente di appoggiare il piano proposto dalle Nazioni Unite, una minoranza di deputati – sia a Tripoli che a Tobruk – si oppongono alla votazione del nuovo governo di transizione.

La scorsa settimana a Tunisi, 27 membri della Camera dei Rappresentanti e del Congresso Generale Nazionale hanno espresso il loro rifiuto al piano presentato dall’Onu in quanto “non coerente con i principi della riconciliazione”.

Secondo quanto riportato da fonti locali, quanti si oppongono sono contrari a qualsiasi ingerenza straniera sul futuro della Libia. A questo si sommano le vicende legate al ruolo di Léon.

Sospettato di sostenere Tobruk a discapito di Tripoli, prima di uscire di scena Léon ha annunciato che andrà a lavorare, per 50 mila dollari al mese, nell’accademia di formazione diplomatica degli Emirati Arabi Uniti, un paese che non solo è coinvolto fino al gomito negli affari della Libia, ma che appoggia esplicitamente uno dei due governi, proprio quello orientale di Tobruk.

Tutto ciò ha aumentato la diffidenza dei libici verso la mediazione straniera. L’incontro di Tunisi tra i politici libici segna quindi una preoccupante battuta d’arresto dopo i passi avanti degli ultimi mesi.

Martin Kobler, il nuovo inviato Onu per la Libia, sta cercando di riannodare le fila attorno al processo di dialogo intrapreso da Leon. Kobler, dopo aver visitato la settimana scorsa Italia, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Francia, Tunisia ed Egitto, sarà in questi giorni ad Algeri per la settima conferenza dei ministri degli esteri dei Paesi vicini della Libia.

La pressione diplomatica della comunità internazionale affinché venga presto approvato il nuovo governo è massima. Alla riunione di Algeri infatti prenderanno parte anche la Lega araba, l’Unione europea e l’Unione africana.

L’AVANZATA DEL CALIFFATO IN LIBIA 

In Libia senza un governo legittimo continua intanto l’avanzata jihadista. Diverse fonti locali hanno riferito che i jihadisti dell’autoproclamatosi “stato islamico” stanno trasportando armi pesanti e veicoli da Sirte verso le città di Harawa, Nufaliya e Bin Jawad con l’obiettivo di estendere la loro influenza nei territori ricchi di petrolio e su Ajdabiya, a 150 chilometri da Bengasi.

Per cercare di limitare la loro avanzata, l’aviazione libica ha colpito duramente Ajdabiya la settimana scorsa. La lotta alle milizie islamiche condotta dall’esercito guidato dal generale Khalifa Belqasim Haftar non sembra però aver ottenuto grandi risultati. I combattenti dell’Is controllano ormai gran parte della strada costiera del Golfo della Sirte.

La controversa figura del generale Khalifa Haftar, inoltre, è giudicata da molti osservatori internazionali come un ostacolo alla normalizzazione della Libia.

Le azioni militari del generale sono state spesso condannate dal governo di Tripoli. Il premier del Congresso Generale Nazionale, Khalifa al-Ghwell, ha promesso di vendicare i raid dell’aviazione su Ajdabiya, definiti da Tripoli come “un atto criminale”. Non è ancora chiaro quale sarà la risposta di Alba Libica però questa situazione rischia di favorire l’espansione dell’influenza dello “stato islamico”.

EMIRATO PETROLIFERO

Nella lotta per il potere tra Tobruk e Tripoli, infine, non deve essere sottovalutata la figura di Ibrahim Jadran, giovane ex rivoluzionario e comandante dei reparti posti a protezione dei giacimenti petroliferi in Cirenaica.

Jadran, formalmente avversario degli islamisti, nel caso di una divisione territoriale della Libia potrebbe decidere di fondare un proprio “emirato petrolifero” con l’appoggio della sua tribù Magharba.

Nel complicato scenario libico, al di là delle divisioni tribali o ideologiche, il controllo dei proventi del petrolio – pari al 97% del Pil della Libia – appare come il vero nodo della battaglia politica.

Nel paese nordafricano, dove ogni milizia rappresenta un centro di potere autonomo, l’assenza di un governo di unità nazionale allontana sempre di più la stabilizzazione dopo 42 anni di dittatura.

Articolo pubblicato sul sito di AffarInternazionali

Mirko Bellis, Laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, Università di Trieste, Master in Comunicazione e conflitti armati presso la Università Complutense di Madrid, è regista, sceneggiatore di documentari e giornalista.

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