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Giusto per rendere stupidamente l’Unione Europea ancora più impopolare di quanto, a torto o a ragione, non sia riuscita a diventare di suo, come dimostrano le crescenti fortune elettorali dei partiti a dir poco euroscettici, anche il riconoscimento del diritto genitoriale rivendicato dalle coppie omosessuali viene indicato come qualcosa che da troppo tempo “l’Europa chiede all’Italia”.

Pertanto i grillini, rifiutandosi al Senato di nascondere e vanificare gli emendamenti più temuti nel marsupio di un espediente regolamentare chiamato proprio per questo canguro, si sono guadagnati, oltre all’accusa di voltagabbana, anche quella di avere inasprito il loro antieuropeismo. Che fa rima peraltro con l’antirenzismo, sopravvissuto agli accordi spartitori fatti, o imposti dalle solite divisioni paralizzanti del centrodestra, per riempire le caselle vuote del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale.

Personalmente, pensavo sino all’altro ieri, quando la legge che porta il nome della senatrice del Pd Monica Cirinnà ha subìto una battuta d’arresto, che burocrati e politici della Commissione europea di Bruxelles ci stessero col fiato addosso per il debito pubblico troppo alto. Ed anche per altre questioni che Matteo Renzi liquida come “decimali”. Ma non per le ambizioni genitoriali delle coppie omosessuali, dietro lo schermo di un’adozione aggettivata in inglese. Per la disciplina delle loro unioni, si, al pari di quelle eterosessuali non matrimonializzate, ma non per assegnare ad un incolpevole bambino, magari gestito all’estero in un utero affittato, due papà o due mamme, anziché un papà e una mamma.

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Non credo proprio che all’importante vertice europeo cui Renzi si è preparato riferendone preventivamente al Parlamento, dove ha avuto peraltro uno scontro clamoroso con Mario Monti, si sentirà contestare il fatto, per esempio, che Nichi Vendola e il suo compagno canadese non riescano ancora a sposarsi in Italia, e tanto meno ad adottare un figlio generato non so come e da chi. Lo dico, naturalmente, con tutto il rispetto che meritano l’ex governatore della mia Puglia, il suo compagno di vita e i loro sentimenti.

 

Uguale rispetto meritano naturalmente il simpatico Ivan Scalfarotto, sottosegretario di Maria Elena Boschi alle riforme e ai rapporti col Parlamento, e il suo compagno, presumendo o augurandogli di averne uno. Ma vorrei sapere a che titolo l’esponente del Pd prima dell’incidente del canguro al Senato abbia detto al grillino Alberto Airola, secondo cronache non smentite: “Siamo nelle vostre mani”. Vostre nel senso, naturalmente, dei parlamentari del Movimento 5 Stelle.

Se Scalfarotto ha parlato così al senatore Airola solo come omosessuale, nulla da eccepire. Ma se lo ha fatto anche come sottosegretario, cioè come esponente del governo, avrei da ridire. E da attendermi addirittura una precisazione del presidente del Consiglio. Che, per quanto sorpreso e adirato pure lui per la condotta parlamentare dei grillini, sempre secondo cronache non smentite, aveva formalmente tenuto fuori il governo dall’aspetto più controverso della legge Cirinnà, rimettendosi alle valutazioni e decisioni del Parlamento, di qualsiasi tipo evidentemente risultassero.

D’altronde, solo se il governo nel suo complesso fosse e rimanesse davvero neutrale sulla questione dei diritti genitoriali delle coppie omosessuali, Alfano potrebbe sottrarsi alle sollecitazioni rivoltegli da destra a dimettersi e a provocare la crisi, piuttosto che subire l’approvazione del provvedimento nel testo voluto dalla proponente, e limitarsi a scommettere su una rivincita referendaria.

Renzi sa bene che le cose stanno così, per cui farebbe bene a tenersi più strette le sue opinioni personali, anche se il suo amico Mario Calabresi, finalmente ambientatosi alla direzione di Repubblica, ha impugnato il computer dopo più di un mese di silenzio per esortarlo a “metterci la faccia”. Cioè a difendere per intero come presidente del Consiglio, e non solo come segretario del Pd, il controverso e ormai pericolante impianto della legge Cirinnà.

 

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La delusione della senatrice del Pd per l’accaduto è comprensibile. Ma penso che ci sia stato un eccesso di reazione anche in lei quando ha detto che riterrebbe chiusa la sua esperienza politica se non riuscisse a fare approvare la legge sulle unioni civili nel testo, o nella sostanza portata in aula.

 

Qui c’è un’emulazione un po’ goffa del presidente del Consiglio, pronto al ritiro pure lui ma su un altro versante: se non dovesse vincere in autunno il referendum confermativo della riforma costituzionale, comprensiva del ridimensionamento del Senato. Dove peraltro la Cirinnà non potrebbe neppure aspirare a tornare, non essendo né consigliere regionale, né sindaco. A meno che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non le conceda nella nuova assemblea un seggio per avere “illustrato la Patria”, come dice l’articolo 59 della Costituzione. Il merito sarebbe evidentemente quello di avere cercato di appagare le aspirazioni genitoriali delle coppie omosessuali. Improbabile, a dir poco.

Perché Monica Cirinnà ha un po' di grilli per la testa

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