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Caro Calabresi, ho letto il tuo editoriale “Unioni civili, metterci la faccia” con molta attenzione. Scrivi raramente e so che quando accade è per inviare un indirizzo preciso, che ha peso: il tuo e quello del giornale che dirigi. Il senso dell’articolo mi è chiaro: è un richiamo esplicito a Matteo Renzi affinché prenda in mano le operazioni e conduca in porto una legge sulle unioni civili che, in assenza del suo esplicito agire, è andata ad incagliarsi per via delle doti che eufemisticamente possiamo definire dilettantesche degli attendenti da campo a cui il premier ha affidato la guida della battaglia. Il primo punto interrogativo voglio portelo subito: e se Renzi non avesse così tanta voglia di esporsi sulle unioni civili? Se il suo retroterra politico, culturale, valoriale, persino personale fosse lontanissimo da quella richiesta di trasformare i desideri Lgbt in diritti che è alla base del ddl Cirinnà? Se fosse per questo, dunque per scelta e non per distrazione, che ha lasciato naufragare in un pateracchio di forzature incostituzionali una manovra che, al fondo, non condivide? Sei un cronista politico di lungo corso, caro Calabresi. Sai che nel 2007 un Family Day vide tra i protagonisti “politici” due giovanotti: io stesso, che pochi mesi dopo sarei stato candidato alla segreteria nazionale del Pd alle primarie fondative, e un promettente ragazzo, presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi. Il ragazzo, per durezza dell’argomentare contro i Dico, veniva nelle “mappe” di Repubblica collocato alla mia destra.

Non sono ingenuo, so che il richiamo così esplicito del direttore di Repubblica al premier affinché si esponga personalmente serve a rimuovere quelle remore che conosci e percepisci. Ora Renzi non potrà sottrarsi e si esporrà, a partire dall’assemblea nazionale del Pd programmata per domenica. Però, caro Calabresi, permettimi: sono proprio le argomentazioni che usi nel tuo scritto a non essere convincenti, a suonare come una sorta di ricatto.

Apri il tuo articolo citando il caso di una convivente che non ha potuto assistere il compagno in ospedale, impostando i toni dello scritto sul ricatto emotivo. Tralascio il fatto che la legge 91 del 1999 consente esplicitamente “ai conviventi more uxorio” di stare vicino al partner in ospedale (e una sentenza del 2012 ha specificato che tale diritto è anche dell’eventuale partner omosessuale) e che dal 1989 una legge voluta dalla tanto vituperata Democrazia Cristiana certifica all’anagrafe la condizione di convivenza, che può essere fatta valere nei tanto citati (a sproposito) casi retorici dell’ospedale e del carcere. Ma sai benissimo che il ddl Cirinnà prevede l’unione civile per i soli omosessuali, se non sei omosessuale niente diritti, niente stepchild adoption, niente reversibilità della pensione. Quindi quando citi nell’incipit dell’articolo le “900.000 coppie di fatto” che ci sarebbero nel paese avresti dovuto per onestà intellettuale specificare che per 892.500 di esse poco o nulla cambia, visto che la citata “seconda parte della legge” relativa ai conviventi maschio-femmina è davvero acqua fresca (anche giustamente, visto che costoro possono se vogliono accedere all’istituto del matrimonio). Tutto questo casino che ha spaccato drammaticamente il Paese è costruito per 7.513 coppie omosessuali stabilmente conviventi (dati censimento Istat), con 529 minori, nella stragrande maggioranza dei casi provenienti da precedenti rapporti eterosessuali e dunque già dotati di un papà e di una mamma. Poiché, almeno per ora, non è previsto che un figlio possa avere tre genitori, la questione “stepchild adoption” riguarda poco più di duecento bambini: una trentina provenienti da pratiche di utero in affitto e presenti in un ménage di coppie gay, duecento derivanti da fecondazioni eterologhe e presenti in un contesto di coppia lesbica. Questo è il quadro reale, numerico, della questione. Parlare di 900.000 coppie di fatto nell’incipit dell’articolo significa costruire un clima giornalisticamente distorto per giustificare i passaggi successivi.

Detto questo, penso che se anche un solo bambino fosse privato di qualche diritto per colpa dell’orientamento sessuale delle persone con cui vive, ciò sarebbe un crimine. E allora passiamo in rassegna i diritti dei bambini che vivono in contesti omosessuali. Di quali diritti sono privati? Non possono andare a scuola? Non hanno diritto all’assistenza sanitaria? Sono privati delle vaccinazioni? C’è un solo diritto che spetta alle mie figlie che non sia riconosciuto anche al bambino che vive in un ménage gay o lesbico? Ovviamente no. Il ddl Cirinnà, quello sì, costruirebbe se approvato la negazione di un diritto del bambino: quello a sapere che è figlio di una mamma e di un papà, come tutti, spacciandogli invece per vero ciò che è platealmente falso e cioè che sarebbe nato da due uomini o da due donne.

Nel tuo articolo appare chiaro che esiste una sola posizione legittima, quella del sostegno al ddl Cirinnà, un solo esito legittimo, quello dell’approvazione del ddl Cirinnà, una sola mossa legittima, quella di un Renzi esplicitamente e personalmente a capo di qualsiasi forzatura serva a portare al traguardo il ddl Cirinnà. E invece, caro Calabresi, esiste la posizione dei contrari. Ed è altrettanto legittima ed è radicata in termini popolari e bastava farsi un giro al Circo Massimo il 30 gennaio scorso per notare che non è in nessun modo assimilabile a posizioni retrograde, faziose, estremiste. Milioni di famiglie italiane guardano con sgomento alla vostra superficialità, al vostro sostegno all’agire di governanti che in questa 17esima legislatura repubblicana sono stati capaci di produrre solo norme contro la famiglia, dal divorzio breve a questo orrendo e incostituzionale ddl Cirinnà. E sei tu ad operare una clamorosa falsificazione quando scrivi che nel ddl in discussione “non si parla mai di utero in affitto”, perché basta vedere i sette minuti di intervista rilasciati da un senatore e dal suo compagno a Le Iene, con il racconto nudo e crudo della pratica da loro eseguita all’estero comprando per centomila euro una donna e un bambino, in cui si ammette che la stepchild adoption serve a loro per legittimare in Italia quel che oggi non possono nemmeno dichiarare e cioè che quel figlio è figlio di due papà e di nessuna mamma, privandolo per sempre di un diritto che quel bambino ha.

Spero che Renzi ci metta la faccia, come gli chiedi tu, ma per dire al Paese che il ddl Cirinnà torna in commissione, perché c’è bisogno di tempo per riflettere. Sarà la fine di una brutta legge e la chiusura di una brutta pagina della democrazia italiana. Con ogni probabilità non andrà così, le forzature continueranno e alla fine il popolo potrebbe pure essere soverchiato dalla consueta prepotenza di qualche autoproclamata élite. E allora al popolo resterà una sola arma: la memoria. Molto prima di quel che credi, e con grave danno per Matteo Renzi, la utilizzerà.

(estratto dell’editoriale del direttore del quotidiano La Croce, Mario Adinolfi, che si può leggere qui nella versione integrale)

Perché la Repubblica di Calabresi sbaglia su utero in affitto e stepchild adoption

Di Mario Adinolfi

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