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Ha scritto due giorni fa Paolo Salom sul Corriere della Sera che il disgelo tra la Cina e la Santa Sede è ormai dietro l’angolo. Di più, sul tavolo della scrivania del Papa ci sarebbero già i documenti relativi alla nomina di tre vescovi da mandare in diocesi “scoperte” del grande Paese asiatico. Secondo quanto ha appreso il quotidiano diretto da Luciano Fontana, il negoziato discreto e complesso tra le parti sarebbe pervenuto a un approdo positivo: “Per ora, fanno sapere in Vaticano, è stato convenuto di risolvere un’annosa questione riguardo la nomina dei vescovi, come noto prerogativa del Papa cui i nuovi pastori devono obbedienza. Il risultato convenuto sarebbe questo: Pechino sottopone al Vaticano una lista di nomi graditi e tra questi il Pontefice identifica e annuncia il nome scelto”.

TRA RESISTENZE E COMPROMESSI

A oggi, ricorda ancora il giornalista, il meccanismo prevede che la Chiesa patriottica cinese – l’unica ufficialmente riconosciuta dal governo di Pechino – nomini i propri vescovi tenendo conto del gradimento della Segreteria di Stato vaticana. Una soluzione “di compromesso” rispetto alla nomina, inaudita altera parte, da parte cinese, condannata da ultimo da Giovanni Paolo II.

I PASSI VERSO IL DISGELO

Se lo schema fosse confermato (se ne saprà qualcosa tra breve, aggiunge Salom), si tratterebbe di una svolta d’enorme importanza che potrebbe preconizzare un ulteriore sviluppo nei contatti e successivamente nelle relazioni tra le due entità statali. Gesti d’avvicinamento si erano già registrati negli ultimi anni, soprattutto dopo l’elezione del gesuita Francesco al Soglio di Pietro. Si ricorda il contatto telefonico con il presidente Xi Jinping, il permesso di sorvolare il territorio cinese nel viaggio verso la Corea del sud e il consenso di Roma a una nomina episcopale in quel paese.

IL RUOLO FONDAMENTALE DI PAROLIN

Un ruolo fondamentale per il riavvicinamento, ammesso che ciò si concretizzi a breve, va riconosciuto al segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. Grande conoscitore della realtà orientale, diplomatico di carriera e di poche parole, già nel 2007 contribuì alla stesura di uno dei documenti più significativi (e ignorati) del pontificato di Benedetto XVI, la “Lettera ai cattolici cinesi” che segnò uno spartiacque tra Pechino e la Santa Sede, consentendo la ripresa dei contatti, interrotti quando (nel 2009) Parolin – cui si deve anche il grande lavoro di trattative con il Vietnam – fu trasferito a Caracas, nominato nunzio in Venezuela.

LE DUE ANIME DELLA CHIESA CINESE

Uno scoglio non di poco conto è rappresentato da una parte della gerarchia cattolica cinese, fieramente avversa a ogni possibilità di accordo con Pechino. E’ la “corrente” che ha nel cardinale Joseph Zen Ze-kiun il capofila, che negli scorsi mesi ha anche pubblicamente criticato Parolin per il presunto appeasement verso il governo di Xi Jinping. Un atteggiamento ben diverso da quello, assai più moderato, portato avanti dall’attuale arcivescovo di Hong Kong, il cardinale John Tong Hon, che ha sempre lasciato aperte le porte – seppur con prudenza – a un’intesa.

LA PRUDENZA DI BERGOGLIO

Il Papa, dal canto suo, si è sempre mostrato molto prudente in relazione ai rapporti con Pechino. “Siamo vicini alla Cina. Io ho mandato una lettera al presidente Xi Jinping quando è stato eletto, tre giorni dopo di me. E lui mi ha risposto. Dei rapporti ci sono. E’ un popolo grande al quale voglio bene”, diceva intervistato dal Corriere della Sera. Più tardi, nel corso di una conferenza stampa in aereo, aveva osservato come in Cina ci sarebbe andato “subito”. Il motivo dell’attenzione vaticana per il paese asiatico è dettato dai numeri, che indicano come (tra chiesa ufficiale patriottica e chiesa sotterranea, cioè fedele al Papa), i cattolici rappresentino una parte significativa della popolazione e, considerando anche protestanti ed ortodossi, la Cina risulterebbe il paese con più cristiani al mondo.

Come si avvicinano Vaticano e Cina

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