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La corsa repubblicana alla nomination alla Casa Bianca potrebbe essere a una svolta decisiva: Marco Rubio, il senatore della Florida, ha innestato la quarta e sta sorpassando Jeb Bush, ex governatore della Florida e suo mentore politico, come candidato dell’establishment. Rubio è ancora ben dietro i campioni dell’anti politica Donald Trump e Ben Carson nei sondaggi, ma s’è ormai insediato al terzo posto in doppia cifra. Ed il primato di Trump e Carson è generalmente considerato volatile.

Nel New Hampshire, lo Stato che sceglierà per secondo i delegati alla convention il 9 febbraio 2016, Rubio sta letteralmente volando. Secondo un rilevamento della Monmouth University, il senatore ha triplicato, tra settembre e ottobre, i consensi. Lo showman Trump è sempre primo con il 26%, davanti all’ex neurochirurgo Carson (16%), ma Rubio è passato dal 4% al 13% ed è terzo, grazie alla sua prestazione nel dibattito televisivo del 28 ottobre. Jeb invece è solo quinto, dietro pure Carly Fiorina, e non dà segnali di risveglio.

Rubio è pure insidioso per Bush sul fronte dei finanziamenti e ha appena ottenuto il sostegno di Paul Singer, uno degli uomini più ricchi ed influenti d’America. Il New York Times segnala che il miliardario ha scritto, dopo il dibattito di Boulder, a decine di donatori annunciando di appoggiare Rubio: Singer lo indica come l’unico candidato in grado “di sconfiggere” Hillary Clinton, largamente in testa tra i democratici.

Citando dati del Center for Responsive Politics, il NYT rileva che Singer è il principale donatore repubblicano.
Rubio dà di sé un’immagine distensiva, anche nei confronti dei rivali: alla Cbs, dice di non essere “disposto ad attaccare i miei rivali per vincere”, contrapponendosi a Bush, che l’ha definito “l’Obama repubblicano”. “E’ chiaro che in campagna elettorale viene detto di tutto per cercare di ottenere un vantaggio. E qualcuno – ha affermato Rubio – ha convinto Bush che attaccare me lo aiuterà”.

Il rapporto tra Bush e il suo “allievo” è ormai teso. Nell’ultimo dibattito, l’ex governatore l’ha chiamato in causa su più temi; il senatore ha replicato: “Non è attaccando me che vincerai… Non sono in gara contro di te o altri, qui. Corro per la presidenza perché non possiamo eleggere Hillary Clinton per continuare le politiche di Barack Obama“.
Bush sente sgretolarsi il terreno sotto i suoi piedi e, per rilanciare la sua campagna, sceglie lo slogan “Jeb can fix it!”, che ha una doppia valenza (aggiustare il Paese, ma prima la corsa alla nomination). Riparte da Tampa, in Florida, e va in South Carolina e nel New Hampshire; punta sulla parola “inclusione”; e fa uscire l’ebook “Reply All”, una selezione delle sue mail da governatore, per mostrare il piglio nell’affrontare situazioni di crisi: dal caso Terri Schiavo alla risposta in disastri naturali, partendo dalle elezioni nel 2000, quelle dei “riconteggi” proprio in Florida che portarono alla Casa Bianca suo fratello George W.

Ma Jeb riconosce pure che deve “migliorare”: lo fa a Des Moines nell’Iowa, dove le primarie cominceranno il 1° febbraio: “I sondaggi vanno su e giù, dice. “E quando questo succede non puoi insultare gli elettori dello Iowa perché sono esigenti… So che devo migliorare… E sono un uomo competitivo”. E’ davvero l’ora di mostrarlo.

Repubblicani, ecco come crescono i consensi di Rubio

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