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La Francia ha deciso di inviare nuovamente nel Golfo Persico la portaerei Charles De Gaulle per impiegarla nelle operazioni militari contro lo Stato Islamico. La nave, che Reuters ha spiegato si muoverà con il suo gruppo di battaglia (composto da alcune fregate, una nave da rifornimento e da un sommergibile nucleare), è già stata impiegata come rampa di lancio per i raid contro le postazioni del sedicente Califfato da febbraio ad aprile di quest’anno.

CONTRO L’ISIS

Il presidente francese François Hollande ha definito la decisione “razionale”, in quanto permetterà ai caccia francesi di “essere più efficienti in coordinamento” con gli alleati. Attualmente Parigi ha operativi contro l’Isis sei caccia Mirage di stanza in Giordania e altri sei Rafale che decollano da un base negli Emirati Arabi Uniti. La presenza della De Gaulle, la più grande nave da guerra francese che può contenere fino a 40 velivoli e operare 100 voli giornalieri, potrebbe per gli esperti ridurre i tempi di operatività e di percorrenza degli aerei.

Secondo i dati riportati dall’Agence France Presse, da quando la Francia ha avviato la campagna di bombardamenti nella coalizione anti Isis guidata dagli Usa, ha compiuto 271 airstrike, a fronte di 1285 missioni. I raid si sono concentrati quasi esclusivamente sull’Iraq. Soltanto due hanno interessato il territorio siriano, per andare a colpire direttamente jihadisti francesi ritenuti potenzialmente pericolosi per il “terrorismo di ritorno”.

L’Eliseo descrive le operazioni sul territorio siro-iracheno come una necessità di autodifesa, dopo aver provato sulla propria pelle il terrore di attacchi interni spinti dai jihadisti; il più noto è quello alla redazione parigina del giornale Charlie Hebdo. La Francia è militarmente impegnata contro il terrorismo, essendo un Paese che soffre al proprio l’attecchimento di istanze islamiste radicali.

L’IMPEGNO DI PARIGI

Giovedì, mentre da Parigi si annunciava l’invio della portaerei (decisione presa dopo la riunione del Consiglio di Difesa), il capo di Stato maggiore dell’Esercito francese, Pierre de Villiers, si trovava a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso dove si è svolto l’incontro tra i capi di Stato maggiore dei Paesi del cosiddetto “G5” (composto da Mali, Burkina Faso, Mauritania, Niger e Ciad). Tema del vertice: come migliorare le condizioni di sicurezza nell’area del Sahel, dove la Francia è impegnata dall’agosto del 2014 nell’operazione Barkhane. Con de Villiers erano presenti anche il comandante della missione francese in Africa centrale e quello delle operazioni speciali. Parigi ha disposto un quartier generale a N’Djamena, la capitale del Ciad, da cui gestisce circa tremila soldati dispiegati in altre basi che si trovano nei cinque Paesi con cui ha stretto la collaborazione militare: si tratta di un piano ereditato, e lo scorso anno incrementato, dall’operazione Serval. L’obiettivo francese è sostenere queste sue ex colonie (i Paesi del “G5”) contro l’avanzata di alcuni gruppi islamisti; i principali sono Al Mourabitoun, guidato da Mokhtar Belmokhtar (uomo sulla lista dei più ricercati terroristi a livello globale, più volte dichiarato ucciso da raid occidentali), Aqim, ossia la filiale maghrebina di al Qaeda, ed infine Ansar Dine, l’organizzazione malese che durante il conflitto del 2012 era riuscito a prendere sotto il proprio controllo ampie fette di territorio. Inoltre, da sud arriva anche la minaccia espansionistica di Boko Haram.

IL MILITARISMO DI HOLLANDE

Sempre giovedì, Hollande ha tagliato il nastro inaugurale al “Pentagono made in France”, che il Figaro ha descritto come “13,5 ettari di cui 4 di spazi verdi, comprende 320 mila metri quadri di uffici ed accoglierà 9.300 impiegati che potranno godere anche di alloggi, mense, un centro sportivo con piscina e tante altre strutture. Vi saranno concentrati ben dodici uffici della Difesa [tra cui] lo Stato maggiore delle forze armate (Cema); quelli dell’Esercito, della Marina e dell’Aviazione; la Direzione generale degli armamenti (Dga); il centro operativo”. La costruzione della struttura è iniziata nel 2008 ed è costata 4,2 miliardi di euro.

Due giorni fa il giornale investigativo francese Le Canard Enchaîné ha scritto di essere entrato in possesso di alcuni documenti che dimostrano come il governo stia pensando di concedere ai circa settemila militari dispiegati a protezione di obiettivi sensibili interni nell’operazione “Sentinelle”, una copertura legale che permetterebbe loro di sparare a potenziali terroristi. Sarebbe un quadro giuridico unico nella storia della Francia, che concederebbe all’Esercito la possibilità di sparare per primo lungo le strade francesi: attualmente i militari di “Sentinelle”, che è un’attività di sicurezza nata dopo i fatti di Charlie Hebdo, hanno soltanto il diritto di rispondere al fuoco.

Il militarismo francese è frutto di necessità politiche e di questioni pratiche, e in questa fase sembra rinvigorito (Hollande, già nel 2013, fu l’unico che rispose favorevolmente all’idea di Barack Obama, poi abbandonata, di bombardare Damasco, per punire Bashar al-Assad per gli attacchi chimici contro i civili).

Nel mese di dicembre a Parigi si svolgerà il vertice globale sul clima, a cui parteciperanno capi di Stato e di governo da tutto il mondo; il prossimo anno, inoltre, la Francia ospiterà gli Europei di calcio. Accentramenti di persone e personalità “invitanti” per il terrorismo. Fin qui le questioni pratiche, ora le politiche: a convincere il governo di sinistra di Hollande ad esporsi verso policy militari dal “pugno duro”, potrebbero essere state anche considerazioni come quelle riportate nell’ultimo saggio del politologo Gaël Brustier, “A demain Gramsci”, in cui l’intellettuale ha spiegato perché a suo parere la droite “ha vinto nelle teste”, mentre la gauche soltanto “nelle urne”, come ha raccontato in un articolo sul Foglio Mauro Zanon. La gente è più a destra del governo, che vuole dunque intestarsi azioni “toste”. Si confrontino i commenti critici dell’Obs sulla decisione di schierare la portaerei con il sondaggio, pubblicato a metà settembre dal Journal du Dimanche, dove oltre la metà dei francesi si diceva favorevole all’invio di truppe di terra in Siria contro l’Isis.

GUAI TECNICI

C’è dell’altro. Secondo alcuni esperti che hanno analizzato la missione militare contro lo Stato Islamico (che Parigi chiama “Chammal” e che riguarda l’Iraq, mentre l’allargamento dei raid al territorio siriano ancora non ha nome), al momento la Francia si trova già al massimo sforzo delle disponibilità tecniche impiegate: principalmente, si ritengono insufficienti le ricognizioni a lungo raggio, perché gli aerei che compiono queste attività devono dividersi tra Siria, Iraq e Sahel. Sarebbe questo il motivo per cui gli attacchi aerei francesi sulla Siria sono arrivati soltanto a fine settembre, mentre il governo di Parigi li dava per operativi dall’inizio dello stesso mese: non erano stati raccolti sufficienti dati d’intelligence, a causa della sovrapposizione delle missioni. Sotto quest’ottica impiegare la Charles De Gaulle rappresenta non uno step up operativo, ma una necessità per la Francia.

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