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Il caso: cinque personaggi abbastanza noti nell’ambiente editoriale di Hong Kong, tutti scomparsi nell’arco degli ultimi due mesi.

Il possibile movente: un pamphlet su una vecchia relazione sentimentale del presidente cinese Xi Jinping.

Il sospettato: gli apparati di sicurezza di Pechino.

UN CASO INTERNAZIONALE

La vicenda di Causeway Bay Sage Books, la libreria di Hong Kong attorno alla quale ruotavano le cinque persone sparite, sta assumendo i contorni di un caso internazionale che secondo alcuni osservatori potrebbe segnare un punto di svolta nella politica estera cinese.

Per intuire il motivo basta uno sguardo a una mappa della città, perché se questa libreria improvvisamente al centro dell’attenzione di tutti i media stranieri dista solo quaranta minuti a piedi dalla guarnigione dell’esercito di Pechino, politicamente i due edifici potrebbero anche essere lontani centinaia e centinaia di chilometri: da un lato, il rivenditore di libri collegato alla casa editrice Mighty Current Media, che grazie alla libertà di stampa in vigore a Hong Kong fa ottimi affari pubblicando libri scandalistici sulla vita privata dei leader del Partito comunista cinese; dall’altro, il quartier generale militare che dal 1997 rappresenta il potere del Dragone nell’ex colonia britannica.

In mezzo sorge il Legislative Council, il miniparlamento che dovrebbe garantire a ogni cittadino hongkonghese la semi-indipendenza da Pechino, una forma di multipartitismo e diritti inapplicabili in Cina come la libertà di espressione.

LA PRIMA SCOMPARSA

Il 17 ottobre scorso il proprietario e principale autore dei libri Mighty, Gui Minhai, sparisce dal suo appartamento sulla costa thailandese, a Pattaya, dopo essere stato visto in compagnia di alcuni sconosciuti.

Due giorni prima era stato il turno di Lu Bo, general manager della casa editrice, scomparso a Shenzhen, in territorio cinese.

Sempre a Shenzhen il 22 ottobre qualcuno prende in consegna Zhang Zhiping, impiegato della Sage Books, e il 24 ottobre scompare anche Lin Rongji, proprietario della libreria.

Come in un romanzo di Agatha Christie l’ultimo superstite della Mighty, Lee Bo, fa in tempo a rilasciare un’intervista al Guardian nella quale mette in relazione la scomparsa del suo socio Gui Minhai con un libro che i due stavano per pubblicare, e poi mercoledì scorso sparisce a sua volta mentre si trovava poco distante dal negozio.

LE PROTESTE A HONG KONG

La catena di sparizioni infiamma l’opinione pubblica di Hong Kong, che solo un anno fa era rimasta paralizzata per mesi da un’ondata di proteste contro l’ingerenza sempre più intensa di Pechino: il parlamentare del fronte democratico Albert Ho sostiene che i cinque della libreria Sage siano vittime di un’operazione di “extraordinary renditions” ai danni di elementi sgraditi al Partito comunista, condotta in aperta violazione delle norme che regolano i rapporti con la Cina.

L’IPOTESI DELLA DELEGITTIMAZIONE

Eppure, come avviene spesso nella politica hongkonghese, la contrapposizione tra schieramenti diversi non è così chiara. Gli agenti cinesi si sono davvero mossi in grande stile solamente per impedire la pubblicazione di un libro sulle vicende amorose di Xi Jinping? In un articolo pubblicato dal Guardian una fonte riservata rivela alla giornalista italiana Ilaria Maria Sala che tutta la vicenda potrebbe nascondere una campagna di delegittimazione rivolta proprio contro il presidente cinese. Intanto il caso si espande, supera i confini di Cina e Hong Kong e assume dimensioni globali: Gui Minhai, sparito in Thailandia, è cittadino svedese. Un altro degli scomparsi ha un passaporto britannico. Le rappresentanze diplomatiche dei due Paesi europei hanno espresso una generica preoccupazione su tutta la vicenda, ma la domanda implicita è: stiamo assistendo a un salto di qualità dei servizi segreti cinesi? Pechino sta conducendo operazioni coperte fuori dai suoi confini che hanno come obiettivo cittadini stranieri?

I CASI PRECEDENTI

In realtà, quello della Sage Books non è il primo caso del genere.

“Ci sono molte somiglianze con il caso di Huseyin Celili” spiega a Formiche.net Edward Schwarck, Research Fellow Asia Studies del RUSI (Royal United Services Institute) di Londra. Celili, un cittadino cinese naturalizzato canadese, era sospettato di coordinare attività terroristiche nelle zone islamiche della Cina. Nel 2006 venne catturato in Uzbekistan e condotto in Cina, dove è stato condannato all’ergastolo nonostante le proteste delle autorità di Ottawa. Sempre nello stesso anno, in Vietnam, si verifica un caso analogo con la sparizione di due funzionari di Taiwan. “Tutt’e tre questi casi si sono verificati in nazioni contraddistinte da forti legami con gli apparati di sicurezza cinesi – spiega Schwarck – che è probabilmente l’elemento chiave per determinare la capacità e la volontà di Pechino di condurre operazioni del genere”.

POCA CHIAREZZA

Tuttavia, secondo Schwarck, non è chiaro quale bureau cinese sia incaricato di queste operazioni all’estero: “Storicamente i servizi di intelligence e di sicurezza cinesi non collaborano molto tra loro, anche se forse stiamo assistendo a un cambiamento. L’Operazione Caccia alla Volpe, con la quale Pechino sta riconducendo in Cina moltissimi funzionari sospettati di corruzione fuggiti all’estero, viene condotta da una task-force interministeriale guidata dal ministero della Pubblica Sicurezza, ma che include anche altri ministeri e dipartimenti. Nel caso specifico, poi, se davvero c’è la Cina dietro, il rapimento di Gui Minhai potrebbe essere stato condotto da subcontractor legati al crimine organizzato per diminuire i rischi politici legati al sequestro di un cittadino straniero”.

IL RUOLO DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA SICUREZZA

Il ministero della Pubblica Sicurezza di Pechino, dice Schwarck, sta assumendo però un ruolo sempre più importante nelle operazioni cinesi all’estero: “Negli ultimi anni hanno aumentato parecchio le loro attività in paesi stranieri, siglando accordi con decine di nazioni e inviando ufficiali di collegamento nelle ambasciate. Si tratta di un processo coerente con gli obiettivi sempre più ampi di protezione degli interessi cinesi all’estero, ma è anche possibile che questi accordi bilaterali generino pressioni ancora maggiori su nazioni deboli o in qualche modo in soggezione verso la Cina. Negli ultimi anni le autorità statunitensi o australiane hanno individuato agenti operativi cinesi impegnati in operazioni coperte, e la reazione è stata furibonda. Ma immagino che l’atteggiamento di nazioni confinanti con la Cina, o che comunque condividono la stessa impostazione sulla repressione del dissenso, sia molto più morbido”.

Antonio Talia è editor di Informant ed ex corrispondente da Pechino

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