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La locomotiva tedesca continua a godere di ottima salute. Ciò nonostante c’è chi all’orizzonte vede avvicinarsi nuvole che non promettono nulla di buono. I dati pubblicati all’inizio di dicembre dalla Bundesbank indicano per l’anno che sta finendo una crescita economica dell’1,7 per cento mentre per il 2016 i dati dell’Ufficio federale di statistica calcolano un 1,9 per cento. Anche sul fronte dell’occupazione le cifre sono più che confortanti.

Il tasso di disoccupazione è sceso ulteriormente, passando dal 7,1 per cento del 2014 al 6,8 per cento di quest’anno. E solo nei primi nove mesi di quest’anno 700mila nuovi posti di lavoro hanno contribuito ad accrescere ulteriormente gli introiti di per sé già positivi (316,9 miliardi di euro) del ministero delle Finanze. Ma per il ministro Wolfgang Schäuble gli anni delle vacche grasse potrebbero essere agli sgoccioli. Anche quest’anno e per la terza volta di seguito ha potuto presentare un bilancio senza nuovi indebitamenti. Ma se fosse stato l’ultimo? Il quotidiano economico “Handelsblatt” sottolinea che nonostante gli introiti fiscali crescenti anche su base comunale, le città tedesche sono sempre più indebitate. Uno studio di Ernst & Young attesta per le 72 città tedesche con più di 100mila abitanti, un indebitamento complessivo di 82,8 miliardi di euro, il che equivale a un più 3,2 per cento rispetto al 2014. Sono dati, specifica il Handelsblatt, che non tengono ancora conto dei profughi.

Il quotidiano di “Die Welt” titola invece: “La Germania e la sua nuova povertà”. L’articolo spiega poi le difficoltà in cui si trovano le mense per i poveri. “E’ la prima volta nella storia di queste mense, che le stesse chiedono aiuto ai comuni per far fronte al numero crescente di persone che si rivolgono a loro. Solo negli ultimi mesi hanno registrato 200 mila bocche in più da sfamare”. E anche le associazioni che si occupano dei senza tetto sono al limite delle loro capacità e disponibilità di posti: nel frattempo il numero dei senza fissa dimora ha raggiunto la cifra record per la Germania di 335 mila persona, di cui un terzo migranti. Sono dati allarmanti, specchio di una crescente emergenza che potrebbe, se non contrastata e risolta in tempo, far affiorare nuove sacche di povertà.

Attualmente il tasso di povertà tra la popolazione tedesca è del 15,4 per cento. Bisogna però tener conto che in Germania viene considerato a rischio di povertà una persona che mensilmente guadagna meno del 60 per cento di un salario medio di 1500 euro. Non è dunque un indigente: anche chi si trova sui gradini retributivi più bassi ha da mangiare, un tetto sopra la testa e l’assistenza sanitaria.

Alla luce dell’arrivo in massa dei profughi, il tasso di povertà non potrà che crescere nei prossimi anni, di questo è convinto il politologo Klaus Schroeder della Freie Universität di Berlino. Non basterà infatti accordare loro il diritto di asilo o di protezione sussidiaria. Secondo Schroeder ci vorranno anni prima che i nuovi arrivati disporranno di un lavoro che veramente permetterà loro di mantenersi da soli. E fino ad allora il rischio di finire nella spirale della povertà sarà concreto.

Anche secondo l’Istituto di ricerca economia IW, per gran parte dei profughi la sussistenza dipenderà inizialmente dallo stato sociale (il cosiddetto contributo Hartz IV).

Anche al ministero del Lavoro ci si prepara a questa nuova ondata di persone in cerca di lavoro. La socialdemocratica Andrea Nahles, che guida il dicastero, calcola per l’anno a venire 460 mila nuove richieste per l’assegno di sussistenza Hartz IV. Inoltre si pensa di creare per i nuovi arrivati 100 mila nuovi impieghi di pubblica utilità, i cosiddeti “1 Euro Jobs”, che dovrebbero essere anche una prima forma di inserimento nel mercato del lavoro privato.

L’arrivo di così tanti profughi avrà ovviamente anche effetti sul tasso di disoccupazione. Un pericolo da scongiurare non solo attraverso un rapido inserimento, ma anche attraverso posti di lavoro che garantiscano salari tra i 900 e i 1500 euro al mese. Un obiettivo che assomiglia più a una chimera secondo la Camera federale tedesca per il Commercio e l’Industria (DIHK). La stragrande maggioranza dei profughi non parla la lingua, è sotto qualificata e anche quando ha una qualificazione professionale deve comunque essere riqualificata per il mercato tedesco. Motivo per cui, sempre secondo la DIHK ci vorrà almeno un decennio prima che questa nuova forza lavoro corrisponda alle esigenze produttive tedesche.

Ma una integrazione nel mercato del lavoro riuscita, presuppone anche una vita fuori dal lavoro il più possibile normale, fa notare la più grande organizzazione sociale VdK. Significa inoltre permettere ai nuovi arrivati di vivere la quotidianità dei comuni nei quali sono stati accolti. E invece, solo a Berlino si contano 50 palestre confiscate e trasformate in dormitori.

“Improvvisamente ci troviamo in casa il terzo mondo”, ha commentato nell’articolo della Welt il politologo Schroeder. E tra i profughi ce ne saranno alcuni che dovranno essere “alimentati” per sempre. Un problema che si farà sentire non appena la locomotiva tedesca comincerà a rallentare la corsa.

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