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Il 15 dicembre è uscito un breve dispaccio d’agenzia dall’Iran, in cui si annunciava il viaggio a Teheran del presidente siriano Bashar el Assad, in programma il 10 di gennaio prossimo. Cioè, la visita di Assad in Iran, è stata annunciata 27 giorni prima: una circostanza altamente inusuale.

Basta pensare che quando a fine ottobre il presidente siriano si recò a Mosca, la prima uscita dal suo paese dopo cinque anni di guerra civile, la visita fu resa nota soltanto il giorno dopo, quando il rais era già tornato “al sicuro” in Siria. In quell’occasione fu preso da un aereo da trasporto militare russo, partito da una base nel sud della federazione con il trasponder spento, caricato a Latakia, cuore del potere alawita e roccaforte lealista molto più sicura della capitale Damasco, e portato a Mosca; stesso iter il viaggio di ritorno.

Assad vive braccato: se esce appena pochi chilometri dal proprio palazzo presidenziale, rischia di tornare senza testa. A volerlo morto, molto più che i soldati del Califfato, una galassia di formazioni ribelli che ricevono anche aiuti occidentali e vengono colpite dagli attacchi russi. Per questo l’annuncio con tanto preavviso della visita a Teheran non può passare inosservato.

I CACCIA RUSSI

Martedì Al Jazeera ha scritto che forse la data non è esatta, e citando l’agenzia di stampa iraniana Fars News, ha individuato tra la fine di dicembre e i primi di gennaio il giorno della visita. Al Jazeera cita anche il giornale libanese vicino al regime siriano Al Diyar, le cui fonti sostengono che l’aereo presidenziale sarà scortato da quattro caccia russi. Da Mosca, secondo Al Diyar, avrebbero già fatto sapere alla Coalizione a guida americana di evitare avvicinamenti dei propri velivoli all’aereo di Assad, per evitare di finire sotto i colpi dei propri caccia. Il volo del rais attraverserà il denso spazio aereo iracheno, e i russi vogliono evitare spiacevoli incidenti (visto anche i precedenti dell’abbattimento del bombardiere da parte dei turchi).

LA GEOPOLITICA IN UN VIAGGIO

Qualsiasi sia la data, l’annuncio della visita ha un ampio valore propagandistico: lo hanno anche i comunicati degli organi di stampa citati, per questo sono riportati a livello di cronaca, ma ritenuti opinabili per affidabilità. Il fatto che il presidente siriano decida di andare in Iran, in un momento nevralgico della crisi, dà peso sia al ruolo di Damasco, sia a quello di Teheran, e sia a Mosca. Da settimane girano informazioni, prontamente smentite dalla Repubblica islamica, che parlano di parziale ritiro delle unità scelte dei Pasdaran iraniani, scoraggiati dallo stallo della guerra. Pochi giorni fa, il capo di queste unità d’élite, il generale Qassem Soleimani, ha violato palesemente una sanzione Onu per recarsi a Mosca (un altro viaggio che dev’essere stato super-protetto) per incontrare direttamente il presidente Vladimir Putin. La Russia sta facilitando gli incontri tra alleati, cercando di dare nuova linfa ad un intervento che sembra non aver prodotto i risultati aspettati.

MISURE DI SICUREZZA A DAMASCO

Qualche giorno fa, la rivista di intelligence francese Intelligence Online, ha pubblicato un articolo in cui scriveva che Assad sta stringendo le proprie misure di sicurezza. Il presidente avrebbe chiesto alla sua intelligence e al suo security service di spostare per quanto possibile i propri uffici in location sotterranee e sparpagliate. Richiesta analoga sarebbe stata fatta ai comandanti militari e sempre in bunker sotterranei sarebbero stati spostati i più delicati archivi di stato. Il rais nel suo stato si muove come un topo, nei sotterranei, per paura di essere centrato appena scopre la luce del giorno. L’opposto, insomma, di un viaggio annunciato con quasi un mese di preavviso, e scortato da quattro caccia russi: ma sono anche questi messaggi propagandistici, che servono sia a Damasco che a Mosca per confermare da un lato il controllo della situazione (al punto di fare un viaggio all’estero) dall’altro il buon andamento delle operazioni che i russi definiscono di “antiterrorismo”.

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