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Dal 7 al 12 agosto, le autorità russe hanno chiuso lo spazio aereo per 500 chilometri lungo la costa occidentale di Novaya Zemlya. Almeno quattro navi di supporto hanno raggiunto posizioni di osservazione nel Mare di Barents, mentre due velivoli della Rosatom sono stati dispiegati nella base aerea di Rogachevo. Il messaggio è chiaro: Putin vuole presentarsi al tavolo negoziale da una posizione di forza.

Come osservano diversi analisti, sebbene il test fosse programmato da tempo, il mantenimento della tempistica proprio alla vigilia dei colloqui suggerisce una precisa strategia diplomatica. La Russia cerca di dimostrare che il suo arsenale militare contiene ancora sistemi d’arma avanzati non ancora schierati in combattimento, rafforzando così la propria posizione negoziale.

Una minaccia nucleare “illimitata”

Il 9M730 Burevestnik, chiamato in codice Nato “Skyfall”, rappresenta una nuova generazione di armi strategiche. A differenza dei missili convenzionali, utilizza un reattore nucleare come sistema di propulsione, garantendogli teoricamente un raggio d’azione illimitato. Può volare a bassissima quota – tra 50 e 100 metri – rendendolo difficilmente rilevabile dai radar nemici e particolarmente complesso per i sistemi di difesa.

Putin ha descritto il Burevestnik come “invincibile” nel 2018, quando lo presentò insieme ad altri cinque nuovi sistemi d’arma strategici. Il missile può trasportare testate nucleari e rappresenta un’evoluzione inquietante della deterrenza nucleare: non solo può colpire qualsiasi bersaglio sul pianeta, ma il suo stesso funzionamento costituisce una minaccia ambientale.

Il pericolo radioattivo dei test

Anche se nei test il Burevestnik non trasporta testate nucleari, il suo motore a propulsione nucleare lo rende intrinsecamente pericoloso. Durante il volo, il missile rilascia inevitabilmente particelle radioattive nell’atmosfera, creando una scia di contaminazione. In caso di incidente o caduta – eventi tutt’altro che rari nei test missilistici – l’impatto ambientale può essere devastante.

Il precedente più drammatico risale all’8 agosto 2019, quando un’esplosione durante il recupero di un prototipo Burevestnik dal fondale marino a Nenoksa causò la morte di diversi specialisti nucleari della Rosatom per malattia da radiazioni. Ufficialmente il ministero della Difesa russo riportò due morti e sei feriti, ma fonti non ufficiali parlano di almeno sei vittime colpite da esposizione radioattiva. Un rilevatore di radiazioni a Severodvinsk registrò livelli 20 volte superiori alla norma per mezz’ora, prima che le autorità locali rimuovessero il messaggio dal sito ufficiale.

L’impatto sulla sicurezza regionale

La Norvegia, il cui territorio della Finnmark dista appena 900 chilometri dal sito di Pankovo, monitora con crescente preoccupazione questi sviluppi. I servizi di intelligence norvegesi hanno avvertito che “i test comportano rischi di incidenti ed emissioni radioattive locali”. Anche la Finlandia tiene sotto osservazione i livelli di radiazioni nelle regioni settentrionali.

Un aereo americano WC-135R Constant Phoenix, specializzato nella rilevazione di tracce nucleari nell’atmosfera, ha sorvolato il Mare di Barents martedì scorso, confermando l’attenzione internazionale per questo test.

Una deterrenza che ridefinisce i rapporti di forza

Il Burevestnik rappresenta molto più di un’arma: è il simbolo di una strategia geopolitica sofisticata. Putin ha trasformato quello che dovrebbe essere un negoziato da posizione di debolezza – con la Russia isolata economicamente e militarmente impegnata in Ucraina – in un incontro tra pari.

Il semplice fatto che Trump abbia accettato i colloqui del 15 agosto rappresenta già una vittoria diplomatica per il Cremlino: il riconoscimento formale della Russia come grande potenza mondiale, capace di sedersi al tavolo con gli Stati Uniti da pari a pari. Ma Putin non si accontenta del riconoscimento politico.

Con il test del Burevestnik, il presidente russo invia un messaggio tecnologico inequivocabile: la Russia non è solo una potenza nucleare tradizionale, ma possiede tecnologie che nemmeno gli americani hanno sviluppato. È un ribaltamento psicologico dei rapporti di forza: non è Putin che deve negoziare perché costretto dalle circostanze, ma Trump che deve fare i conti con una superpotenza tecnologica in grado di minacciare territorio americano con armi “invincibili”.

Questa strategia dell’escalation controllata – mostrare muscoli nucleari alla vigilia di colloqui diplomatici – rispecchia la dottrina putiniana: trasformare ogni debolezza in apparente forza, ogni negoziato in dimostrazione di potenza. Su 13 test noti condotti dal 2017, solo due hanno avuto successo parziale, eppure Putin continua a presentare il Burevestnik come arma definitiva.

La Russia di Putin ha così trasformato una crisi internazionale in opportunità: i colloqui sull’Ucraina diventano il palcoscenico per riaffermare lo status di superpotenza globale, mentre l’Artico diventa teatro di una nuova corsa agli armamenti dove la minaccia nucleare si intreccia con ricatti ambientali, mettendo a rischio non solo la stabilità geopolitica ma anche l’ecosistema del pianeta.

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Di Ivan Caruso

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