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Ottavo articolo di una serie di approfondimenti sul rischio professionale (il settimo è possibile leggerlo qui)

L’Articolo 32 della Costituzione sancisce il diritto alla salute. Oggi, è ancora così? In realtà si tratta di un diritto limitato dalle risorse economiche annuali (D. Lgs 229/99, Art. 1, comma 3) e dai DPEF annuali. In Italia, come in Inghilterra o negli USA.

È un diritto “barcollante” che , anche e per colpa della modifica del Titolo V° della Costituzione, ha portato a 21 modelli sanitari diversi: per LEA effettivamente garantiti, per tickets, per regole di mobilità (pubblico-privato; da ASL ad ASL) e per organizzazione. È un diritto che potrà essere ulteriormente ridimensionato con l’applicazione integrale della devoluzione sanitaria e per effetto dei disavanzi regionali, sanitari ma non solo. A meno che lo Stato non rivendichi per sé competenze sanitarie “maggiori”, a tutela dei cittadini, da Bolzano a Marsala. Ma, questo, non sembra rientrare negli obiettivi dell’attuale Governo. Il diritto alla salute è costituzionale, ma c’è il rischio o la probabilità di un danno, che va riconosciuto con un procedimento legale complesso.

Il medico deve rispettare la “lex artis”; al giudice spetterà l’identificazione di un eventuale rapporto causale tra condotta ed evento. E ciò non è sempre agevole, perché la medicina è fatta di singoli individui malati e non di malattie standard. Il Codice Penale (Art. 40) chiede che venga dimostrata la condotta colposa (diretta od indiretta, ossia omissiva) prima che venga emessa una condanna.

Fino a vent’anni fa l’errore medico era tollerato perché considerato inevitabile e necessario. Il nesso di causalità valeva solo per eventi maggiori, evitabili statisticamente (causalità omissive), ma ciò lasciava troppa discrezionalità alla magistratura (“alto grado di probabilità” ).

Ne sono derivate sentenze dissimili, ma soprattutto legate alla rilevanza del danno. Con una famosa sentenza (11/09/02) della Corte di Cassazione, la magistratura ha innovato l’approccio al problema stabilendo che l’intervento medico (omissivo o interventistico) non va valutato sulla base di elementi statistici (probabilità), ma sulla presenza di un nesso di causalità certo tra condotta ed evento. La Cassazione ha ribadito la necessità di “prove certe”, per una condanna. Molti magistrati, oggi, concordano sulla necessità di modificare la normativa vigente e di consentire una maggior libertà professionale ai medici.

Tra gli altri, ricordiamo il Dr. Nordio (con la Sua proposta di modifica del codice penale, restata nei cassetti) ed i tentativi di Veronesi e di Balduzzi. Il primo, non ha mai raggiunto le aule parlamentari. Il secondo ha portato al varo di un decreto che non ha avuto effetti significativi.

(8/continua)

Rischio professionale, il diritto alla salute

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