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Pubblichiamo le proposte del Movimento cristiano lavoratori (Mcl) contenute nel documento “MCL per Mezzogiorno”

Il Mezzogiorno non può essere un tema appannaggio di un solo partito politico, ma deve coinvolgere tutte le forze vive del Paese che hanno a cuore il bene comune. Ragioniamo troppo spesso in termini di mercato e poco, invece, in termini di politiche industriali con al centro il lavoratore.

Dobbiamo mettere da parte la rassegnazione di chi crede che a questo punto non ci sia più nulla da fare, essendo falliti tutti i tentativi di far “convergere” il Mezzogiorno, già allorquando l’Italia non era ancora attanagliata dalla crisi economica, politica e sociale che la caratterizzano oggi. Figuriamoci adesso che siamo alle prese con l’austerità dei conti pubblici! Questo ha portato anche al paradosso di un Mezzogiorno senza meridionalismo, privo, cioè, di quella incalzante corrente di pensiero che nel passato fu capace di rappresentare con dignità i diritti del meridione, e di mettere in campo proposte nuove: una capacità che oggi sembra venuta meno.

Burocrazia e corruzione
Il riscatto del Mezzogiorno e dell’Italia intera dipende dalla qualità delle istituzioni che governano i processi: incarnate dalle sue classi dirigenti. Non bastano solo misure economiche di qualsivoglia dimensione sulle quali si è puntato in passato. Servono trasferimenti di risorse ma anche garanzie assolute, preventive e consuntive, sulla trasparenza e sui controlli. Ben vengano, allora, il ruolo dell’Autorità anticorruzione e norme più severe come la revoca degli appalti; dopo il fallimento delle Regioni, evidentemente incapaci di svolgere questo compito, è
auspicabile oggi la nascita di un coordinamento delle competenze sovraregionali.

Ma, soprattutto, si deve mettere mano a una “riforma strutturale” della pubblica amministrazione, che proceda su due binari: quello dell’efficienza della spesa ma anche quello della trasparenza. Tutte misure, queste, che vanno inquadrate nel contesto delle più ampie questioni relative al funzionamento della burocrazia e della giustizia in Italia: cioè tenendo conto dell’esigenza di ammodernare, semplificare e snellire le regole con cui operano i soggetti economici, pubblici e privati.
Entrambe, burocrazia e giustizia, presentano lungaggini e intoppi superiori a quelli di ogni altro Paese avanzato.
Sono lo snellimento burocratico e la semplificazione normativa, dunque, le questioni sul tappeto davvero improcrastinabili. D’altro canto questa riforma delle regole deve avvenire di pari passo con un rafforzamento dei controlli: in realtà, infatti, è proprio nelle pieghe delle astrusità burocratiche e nei cavilli che si annida e trova terreno fertile l’illegalità.

Fondi strutturali
Le linee guida necessarie – a nostro avviso – per intervenire efficacemente sui fondi strutturali sono sostanzialmente cinque:

1) Rendere le Autorità di Gestione (che sono le strutture che dovrebbero vigilare sulla corretta attuazione dei programmi), organismi veramente indipendenti, togliendo alle autorità politiche locali il potere di nomina dei componenti e rafforzandone i poteri di vigilanza. In questo senso è auspicabile l’istituzione di un’Autorità di Gestione unica nazionale, che sia articolata in sezioni regionali;
2) I Programmi Operativi e i cosiddetti Documenti Strategici prodotti dalle varie Regioni sono sostanzialmente una riproposizione di uno schema generale redatto a livello centrale, in cui mancano ancora, però, quelle necessarie contestualizzazioni che sarebbero invece utili per intervenire in modo mirato sulle singole economie regionali. Occorrerebbe, invece, che la programmazione partisse dalle specificità delle singole Regioni, allo scopo di valorizzarne le risorse endogene con l’intento di utilizzare i fondi strutturali disponibili come un volano per la ripresa economica;
3) Bisognerebbe concentrare almeno il 50% delle risorse su pochi progetti strategici che siano di grande impatto sul territorio e soggetti ad un più forte controllo centrale, piuttosto che continuare a suddividere la spesa in mille rivoli, utili più per creare consenso che per creare sviluppo.
4) Bisognerebbe rafforzare la sussidiarietà erogando risorse direttamente ai Comuni – dando in tal modo piena attuazione a quanto previsto dall’art. 7 del Regolamento del FERS che consente di finanziare i Comuni per l’attuazione di piani di Rigenerazione Urbana -. Ovviamente questa operazione, per evitare inefficienze e sprechi, dovrebbe essere inserita all’interno di un quadro complessivo che preveda una Governance sovranazionale, in grado di innescare una vera competizione fra gli enti locali, in merito alle risorse disponibili, che miri a far emergere i migliori progetti e ribadisca un controllo diretto e forte sulla qualità e sulla bontà degli interventi;
5) Bisognerebbe introdurre nel meccanismo di gestione delle erogazioni fatte sui Fondi Strutturali un sistema basato su premi/punizioni. Il sistema premiale dovrebbe essere realizzato attraverso un meccanismo di accreditamento progressivo delle imprese e delle organizzazioni che acquisiscono il diritto ad accedere a maggiori benefici, man mano che dimostrano regolarità della gestione e qualità degli investimenti. Accanto a ciò si dovrebbe prevedere un sistema di penalità con sanzioni crescenti in relazione alle anomalie riscontrate per quelle imprese che si discostano da un percorso virtuoso, fino ad arrivare all’esclusione dalle sovvenzioni e alla possibilità di contrattare con la pubblica amministrazione per i casi più eclatanti.

Infrastrutture e zone franche
Bisognerebbe creare nel Mezzogiorno delle “zone economiche speciali” che siano in grado di sfruttare la centralità che quest’area geografica è venuta acquisendo nel tempo, all’interno del Mar Mediterraneo, divenuto il punto di approdo e di snodo dei traffici commerciali in arrivo dai mercati in ascesa dell’Oriente. Il Mezzogiorno, dunque, non dovrebbe puntare sulla richiesta di incentivi a medio e lungo termine ma sulla riduzione immediata e temporanea delle imposte. Dovrebbe divenire, cioè, un’“area economica speciale” nella quale gli operatori economici possano godere di sostanziosi benefici contributivi e fiscali (da pagarsi con i fondi di coesione europei). Nel Mezzogiorno, divenuto un’area a illegalità diffusa e dai radicati comportamenti opportunistici, è più proficuo agire sugli incentivi fiscali piuttosto che puntare sui contributi a fondo perduto che si (dis)perdono facilmente. Bisognerebbe puntare, inoltre, anche sulla riqualificazione urbana: un obiettivo su cui impegnare con più decisione i fondi europei (aggiungo: come avvenuto con successo in altre parti d’Europa, si pensi al sud della Spagna). Non va dimenticato, poi, il settore industriale: guai infatti a pensare che un’area popolosa come il Mezzogiorno possa prosperare solo con il turismo o, peggio, inseguendo i miti della decrescita.

Problema della natalità e dell’emigrazione
La popolazione nel Mezzogiorno non solo sta invecchiando come nel resto d’Italia, ma sta anche diminuendo visibilmente quale conseguenza di un decennio a crescita zero. I dati riportano una natalità che al Sud è decisamente inferiore rispetto a quella del Centro-Nord, con un’immigrazione anch’essa inferiore, mentre si attesta in continua crescita l’emigrazione verso il resto d’Italia e l’estero. Val la pena sottolineare che tra questi ‘nuovi emigranti’ siano sempre più numerosi i laureati: un dato che negli anni risulta in continua crescita. Per fermare questa emorragia e questo impoverimento del capitale umano nel Mezzogiorno, oltre che puntare sugli incentivi fiscali, bisognerebbe reperire risorse aggiuntive attraverso il contenimento delle retribuzioni pubbliche (legandole alla produttività) e utilizzando queste risorse per sgravi fiscali sul capitale e sul lavoro utilizzato dalle imprese e per un piano pubblico di investimenti pubblici e infrastrutturali. Bisognerebbe, infine, creare nel Mezzogiorno un polo universitario che raggruppi università pubbliche d’eccellenza, in grado di attirare studenti e fondi per la ricerca.

Come creare nel Sud zone speciali a fisco lieve

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