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L’esistenza di un Paese silenzioso, fatto di lavoratori, famiglie e formazioni sociali che quotidianamente – pur con le proprie imperfezioni e miserie umane – si sforzano di svolgere con dignità e spirito di servizio le proprie occupazioni è innegabile. Eppure, i fatti di cronaca ci descrivono quotidianamente una realtà fatta sempre più di soprusi, speculazioni, furbizie ed egoismi, in cui lo spazio riservato a questo popolo maggioritario, generoso e operoso, abituato a non fare clamore ma a rimboccarsi le maniche, sembra quasi inesistente.

A questa maggioranza silenziata, per lo più esclusa dai processi economici e politici, scarsamente rappresentata e ormai sempre più disillusa e stanca, dovremmo invece molta riconoscenza. La grande ricchezza del Paese, si diceva fino a qualche anno fa, sono i risparmi delle famiglie (ovviamente solo quelli depositati presso le banche italiane) poiché rappresentano una sorta di contraltare del nostro debito pubblico. Non è un caso, infatti, che la gran parte dei costi sociali della “spending review”, del “fiscal compact”, degli errori del passato e di quelli (molti) del presente sia finita (e tutt’ora finisce) per ricadere proprio su quella che una volta veniva definita la classe media, fatta per lo più di uomini e donne che, onestamente, si guadagnano da vivere con il proprio lavoro (quando questo c’è) e che, magari, hanno ereditato qualche bene immobile o qualche risparmio dai propri genitori. Non solo, per effetto delle nuove regole europee finanche le crisi bancarie sono state poste a carico dei risparmiatori (con depositi superiori ai 100.000 euro, ma non certo dei ricchi epuloni!) e non più delle finanze pubbliche. Giusti o sbagliati che siano questi interventi, non v’è dubbio che quanto costruito dal dopoguerra in poi da questo Paese silenzioso abbia sin qui scongiurato ben peggiori scenari ellenici.

Facendo spesso leva sulla solidarietà tra generazioni (genitori – figli – nonni), sullo spirito di sacrificio e sui risparmi di una vita, questo popolo si è fatto carico della responsabilità di contribuire a far uscire il Paese dalle sabbie mobili della crisi dei debiti sovrani. Si è però inteso questo popolo più che come una risorsa da valorizzare per costruire il futuro del Paese, come una riserva strategica cui attingere quando le cose si mettono male. Su di esso è ricaduto il peso di una riforma delle pensioni che, per quanto sacrosanta, ha comportato conseguenze anche umilianti nella vita di molti; il costo sociale dei tagli nella sanità e nei servizi sociali; l’aumento della pressione fiscale sul fronte dei consumi, delle tasse locali, del lavoro, delle accise; le conseguenze sociali della stretta del credito alle imprese e dei tanti fallimenti che ne sono conseguiti, e così via. È innegabile che così facendo, lasciando cioè che sia solo questo popolo a farsi carico degli squilibri del nostro tempo, non solo si sta distruggendo la coesione sociale, aggravando le disuguaglianze, ma si sta impoverendo il Paese, sprecando i talenti e la creatività di tanti uomini e donne esclusi dalle dinamiche dello sviluppo.

Pur nella diversità di situazioni che scandiscono la vita di questo popolo, se provassimo a immaginare la giornata tipo di una famiglia italiana come tante, potremmo farlo pensando alle numerose attività, impegni e scelte che animano il nostro quotidiano. Occupazioni ordinarie – quali l’accompagnare i figli a scuola, il lavoro in fabbrica, in ufficio, nella pubblica amministrazione o nelle attività commerciali, a stretto contatto con altrettanti padri e madri di famiglia, l’amorevole supporto ai figli nello studio, nello sport o nell’affrontare le loro paure e incertezze, la sobrietà nelle scelte di consumo, la rinuncia ad una spesa superflua per finanziare gli studi fuori sede o (per chi può) all’estero dei propri figli, il rispetto delle regole, lo sforzo dei coniugi a tenere vivo, complice e sincero il loro rapporto, il supporto prestato ai genitori anziani e il consiglio reso ad un amico – spesso svolte con l’angoscia di un lavoro sempre più instabile, con l’incertezza del futuro, con le tasse da pagare, sopportando i dispetti di una burocrazia spesso inutile e vessatoria, con il peso lacerante dell’angoscia di lasciare ai figli un futuro peggiore del proprio che, però, laddove ispirate alla carità, si dimostrano essere l’autentica via del bene comune.

In questa quotidiana ordinarietà che accomuna tante famiglie italiane, è difficile non intravedere qualcosa di straordinario, di invisibile eppure capace di trasformare la nostra società. Nelle storie di questi uomini e donne del nostro tempo v’è la testimonianza virtuosa di chi sperimenta, nella propria vita, l’applicazione dei principi di dignità della persona, bene comune, sussidiarietà e solidarietà, e quei valori fondamentali di verità, libertà, giustizia e carità su cui, credenti e non credenti, si trovano a convergere nella ricerca di condizioni di vita migliori.

Sebbene siano troppo poche le occasioni in cui il ruolo cruciale dell’azione quotidiana svolta dai tanti uomini e donne che lo compongono trovi adeguato riconoscimento, abbiamo imparato ad apprezzare come, nonostante le difficoltà, questo popolo non si arrenda. Anzi, esso va avanti facendo quotidiana esperienza dei propri limiti, delle proprie miserie, dell’insuccesso e della sofferenza, trasmettendo con il proprio esempio tale insegnamento alla società nel suo insieme.

La dignità con cui questo popolo – che è il nucleo della nostra società ed il cuore pulsante del nostro sistema produttivo, fatto di tanti piccoli imprenditori, lavoratori dipendenti, partite IVA, casalinghe e pensionati, ma ormai sempre più anche di figli ormai laureati in cerca della propria strada e di giovani coppie che fanno fatica a costruire una propria prospettiva familiare – svolge i propri compiti ordinari e assolve i propri doveri è una risorsa e una lezione per tutte le generazioni, la cui portata va ben oltre la capacità di risparmio, o fiscale, delle famiglie italiane.

Per quanto utili e, in alcuni casi, necessari per alleviare le difficoltà, non è però con le briciole che a questo popolo saranno restituiti gli spazi che merita e, soprattutto, la speranza di poter lasciare ai propri figli delle condizioni di vita migliori rispetto alle proprie. La vera crescita del Paese passa, in realtà, dalla capacità di promuovere l’inclusione sociale e, lungo questa via, di riaccendere proprio questa speranza. E chi saprà farlo, avrà anche la capacità di riportare a votare quei milioni di italiani che, ormai sfiduciati e distanti dalla politica, rinunciano a recarsi alle urne con una preoccupante sistematicità. Al di là di qualche tornaconto elettorale fine a se stesso, in una prospettiva di rilancio del Paese, risultano perciò del tutto inefficaci tanto gli 80 euro, quanto i 13 euro di riduzione del canone RAI, quanto infine l’(eventuale) ennesimo balletto sulle tasse sulla prima casa. Essi si riducono ad interventi estemporanei, suscettibili di essere rimessi in discussione al prossimo walzer dello spread o al primo sussulto europeo.

Non è lungo questa via il timone del Paese potrà passare nelle mani della maggioranza silenziata. Manca la serietà di una proposta politica fatta non (solo) per raccogliere il consenso, ma per restituire a questa maggioranza l’opportunità di giocarsi la propria occasione di vita senza dover per questo chiedere il permesso a qualcuno o scontrarsi con quel sistema di intrecci e conflitti di interesse, di padroni e padroncini, che tanto male fa alla creatività, al talento e alla meritocrazia. Arrivati a questo punto, il problema può essere risolto solo sciogliendo i nodi di una società bloccata da una cultura dominante incapace di fare dell’inclusione, e dei concetti di libertà e responsabilità che da essa discendono, la chiave di volta di qualsiasi intervento di riforma delle istituzioni, del nostro diritto dell’economia e di taluni comportamenti che, anziché accrescerla, dissipano quella fiducia che è l’indispensabile collante di una società dinamica.

Per questa ragione, occorre intervenire sulle dinamiche estrattive che caratterizzano la nostra cornice istituzionale, intendendosi con tale espressione l’insieme composito fatto non solo di norme costituzionali, leggi e fonti di diritto internazionale, ma di prassi amministrative e comportamenti delle élite politiche, imprenditoriali e culturali, nonché, dei continui mutamenti dell’opinione pubblica che, a loro volta, sono il frutto della cultura di un popolo e del contesto sociale e politico in cui esso vive. In questa direzione, se da un lato è indispensabile una vera opera educativa ispirata ad un umanesimo che guardi allo sviluppo umano integrale, dall’altro, è urgente creare le condizioni per promuovere in tutti i campi l’inclusione sociale, permettendo a questo grande e maggioritario popolo non solo di sopportare meglio i costi sociali delle necessarie politiche di risanamento dei conti pubblici, ma di prendere per mano il Paese facendo della dignità e dello spirito di servizio, di cui fa quotidiana esperienza, la cifra del nostro modello di sviluppo economico e sociale.

La rivincita della maggioranza silenziata

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