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Sono uno dei simboli della crisi globale. I non performing loans, letteralmente i prestiti bancari non più performanti. In altre parole tutti quei crediti deteriorati per i quali la riscossione da parte delle banche è divenuta incerta sia in termini di scadenza che di ammontare. E questo perchè famiglie e imprese troppo spesso non riescono a fronteggiare le rate dei rimborsi. Con la recessione, poi, la massa di npl nei conti delle banche è notevolmente aumentata, zavorrandone nel tempo i bilanci.

LO STOCK BANCARIO

Secondo i dati più recenti, a fine 2014 i crediti deteriorati in pancia alle principali banche italiane ammontavano a 133 miliardi di euro (29,7 dei quali scoperti da qualunque garanzia), il 5,5% in più sul 2013. Di questi 51 stanno in pancia a Unicredit e circa 27 a Intesa SanPaolo. Una cifra monstre rispetto ai 42 miliardi complessivi contabilizzati all’inizio della crisi, nel 2008 e che col protrarsi degli anni ha avuto effetti nefasti sulla concessione del credito: le banche, spaventate da una tale massa di crediti non riscossi, talvolta hanno chiuso sempre di più i rubinetti del credito, provocando il famoso credit crunch.

IL CONCERTO ISTITUZIONALE

Banche e governo non sono rimasti a guardare e per invertire la rotta gli istituti hanno deciso la dismissione dei portafogli più critici in favore di quegli investitori esteri che hanno mostrato un certo appetito per i npl e che già hanno discusso con molte banche della vendita degli stessi. L’esecutivo ha poi varato un decreto per facilitare il recupero dei crediti e favorire la creazione di un mercato comunitario degli npl. Il decreto ad hoc mira a facilitare il recupero o la cessione dei crediti deteriorati, accorciandone i tempi, aprendo al contempo una sorta di mercato internazionale dei portafogli bancari più problematici (qui un approfondimento di Formiche.net)

LE MOSSE DELLE BANCHE

Mentre il governo lavorava al decreto per incentivare le vendite di npl, gli istituti varavano una serie di cessioni per pulire i bilanci che hanno di fatto risvegliato il mercato dei npl. Un’operazione di lungo respiro se si considera che in caso di fusioni bancarie o di ingresso di nuovi azionisti, è sempre meglio presentarsi con i bilanci puliti e scarichi di sofferenze. Secondo alcuni dati riportati dal Sole 24 Ore lo scorso luglio, nei primi sei mesi del 2015 le banche italiane hanno dismesso 5 miliardi di euro di npl, contro i 2,5 ceduti nel primo semestre 2014. Nell’ultimo anno e mezzo ammontano a quasi 12 miliardi i crediti deteriorati venduti dalle banche a fondi di investimento o altri operatori finanziari. Tra gli istituti che hanno ceduto consistenti stock di crediti deteriorati negli scorsi mesi c’è Unicredit, che ha ceduto 625 milioni di euro di npl all’americana Pra Group e Banca Ifis che al contrario comprato tre portafogli di crediti deteriorati per circa 900 milioni di euro. Anche Montepaschi ha fatto la sua parte, liberandosi a fine giugno di 1,3 miliardi di crediti problematici nel suo bilancio, il 50% dei quali ceduti alla Cerberus Capital. E per la fine del 2015 la banca senese punta a dismettere un altro miliardo.

I DUBBI DI MEDIOBANCA

Sull’effettiva ripresa delle cessioni dei crediti deteriorati qualcuno ha però espresso dubbi. Tra questi ci sono gli analisti di Mediobanca che in un recente report dedicato proprio al Monte dei Paschi ha sottolineato come “lo stock di crediti deteriorati lordi su base trimestrale è stabile a 46 miliardi di euro, ma lo stock include la cessione di non performing loans per 1,3 miliardi a fine giugno. Senza considerare questa vendita, i crediti deteriorati sarebbero aumentati del 2,5% su base trimestrale, il che vuol dire che sui non performing loan non siamo a un punto di svolta”. In altre parole, al netto dell’operazione straordinaria di fine giugno, i crediti difficili sarebbero aumentati ancora. La strada per alleggerire i bilanci bancari dal peso dei crediti deteriorati, nonostante il susseguirsi delle operazioni di dismissione, è insomma ancora lunga e le banche devono fare molto di più.

LE PREVISIONI DI PRICE

Dubbi a parte, con i primi germogli di ripresa del mercato e l’interesse sempre maggiore dei fondi esteri nel 2016 potrebbe aversi un autentico boom delle cessioni di portafogli critici. Secondo un report di Pricewaterhousecoopers, l’Italia è infatti un Paese molto appetibile per tutti quei fondi esteri (molti dei quali britannici o statunitensi) interessati ad acquisire grossi stock di crediti. Gli esperti di Pwc calcolano come gli investitori abbiano ad oggi più di 60 miliardi diequity da investire nei prossimi mesi non solo nei mercati più attivi negli ultimi 3 anni (Uk, Spagna, Germania e Irlanda), ma anche in nuovi mercati come l’Italia.

LE DIFFICOLTA’ DI MERCATO

Inoltre, sottolinea un operatore di mercato che preferisce l’anonimato, “le vendite di sofferenze di cui si sta parlando sono quasi tutte di credito al consumo che non ha collateral. Questo conferma che è proprio la difficoltà di valutare le garanzie reali a bloccare il mercato delle sofferenze su mutui residenziali per via della lunghezza dei tempi di recupero, nonostante le buone intenzioni del provvedimento approvato di recente dall’esecutivo”.

LA CINA GUASTA LA FESTA?

C’è però un ombra sul futuro del mercato dei npl. Ed è quella della Cina. Lo sboom cinese di mezzo mondo rischia infatti di compromettere l’esito felice delle cessioni, a causa di un possibile disinteresse degli investitori internazionali verso i crediti deteriorati. Secondo alcune indiscrezioni raccolte da Formiche.net in ambienti finanziari, la frenata della crescita cinese che sta mettendo a dura prova le borse mondiali sta facendo in questi giorni perdere miliardi ai molti fondi e investitori, soprattutto inglesi e statunitensi. Tutti possibili acquirenti, ma che ora starebbero cercando in tutti i modi di rassicurare i risparmiatori in fuga, arginando le vendite sui listini. Di conseguenza l’operazione di compravendita degli npl potrebbe non essere più così prioritaria, come prima perché le menti dei fondi è tutta concentrata sulla sforzo per spegnere l’incendio cinese. Uno scenario che, se confermato, potrebbe rivedere la tempistica del processo di dismissione, che non verrebbe bloccato, ma di certo ostacolato. Le banche, da parte loro, pur di non tenersi in pancia i miliardi di crediti deteriorati, potrebbero aumentare l’offerta, mettendo sul mercato stock ancora più consistenti di npl. Basterà a riavere l’attenzione dei grossi player finanziari internazionali? C’è chi pensa di sì, dice un operatore: Bad bank e decreto sofferenze del governo serviranno proprio ad aumentare il valore dei collateral sottostanti agli NPL al fine di agevolarne la vendita”. Sarà così?

Il mercato degli Npl rischia lo sboom

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