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Ha senso distinguere tra naturale ed artificiale quando si affronta il tema della fame nel mondo? I messaggi lanciati da Fame! Guardatevi intorno, contatevi!, il docu-film dedicato all’agricoltura, presentato il 3 luglio scorso in Expo nel corso dell’Assemblea annuale di Assofertilizzanti, l’Associazione nazionale delle imprese produttrici di fertilizzanti che fa parte di Federchimica, sfidano l’ambientalismo radicale.

“Tutto quello che facciamo è naturale, e naturalmente ne siamo responsabili”, è la sintesi del progetto ideato e curato dal giornalista Luca Pesante che ha goduto del patrocinio di Expo 2015 e che ha dedicato all’innovazione agricola uno dei focus più interessanti.

Tutto è concesso, dunque? No, hanno puntualizzato i promotori e gli esperti che hanno collaborato alla realizzazione del docu-film, denunciando i casi in cui l’utilizzo scorretto, senza il rispetto delle linee guida, di mezzi tecnici in agricoltura hanno causato anche disastri ambientali.

“Ma le scelte fallimentari non devono stravolgere la realtà”, commenta in una conversazione con Formiche.net Claudio Ciavatta, professore ordinario del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna, che è intervenuto nel progetto chiarendo gli aspetti più tecnici che riguardano l’utilizzo dei mezzi innovativi in agricoltura, con particolare riferimento ai fertilizzanti.

UN MONDO SENZA FERTILIZZANTI

Che mondo avremmo oggi se in passato non fosse stato possibile migliorare le strategie di produzione alimentare? “I fertilizzanti stanno alla nutrizione delle piante come gli alimenti stanno alla nutrizione umana e animale. Senza fertilizzanti la quantità di derrate alimentari sarebbe assolutamente inferiore e la domanda ne subirebbe un cambiamento notevolissimo”, sintetizza il professore.

Ma per spiegare il possibile scenario basta guardare al nostro passato:
“Noi proveniamo da secoli in cui i mezzi tecnici in agricoltura erano assenti. Poi quando a fine ottocento, inizio novecento, hanno iniziato ad essere disponibili, c’è stato un progressivo sviluppo dell’agricoltura in termini di produzione sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo e questo ha contribuito a risolvere tutta una serie di problemi legati a denutrizione e malnutrizione nel sistema mondiale”, racconta il professore dell’Università di Bologna.
Cosa ha favorito lo sviluppo? “Il settore fertilizzanti ha contribuito in maniera considerevole, senza dimenticare la genetica che ha avuto un ruolo rilevante, così come la meccanizzazione”, spiega Ciavatta.

FATTORI CHIAVE

Nei paesi in forti difficoltà l’accesso ai mezzi produttivi è stato, e resta, un fattore chiave, spiega il professore. “Ogni pianta ha bisogno prima di tutto di acqua, ma occorre anche alimentarla e difenderla. Solo combinando questi tre fattori, acqua, fertilizzanti e miglioramento genetico nelle sue forme innovative, con la difesa, ovvero con la cura della salute delle piante, si riuscirà a superare le tematiche attualmente esistenti a livello mondiale, come denutrizione e malnutrizione”.
“Ma tutto ciò ha un costo energetico – sottolinea Ciavatta -. E la disponibilità di energia è possibile solo se ci sono le condizioni economiche per farlo, sia interne, sia provenienti dall’esterno”.

CASI DI SUCCESSO

Sono tanti i casi di successo ed eccellenza nel miglioramento delle strategie di produzione alimentare ricordati da Assofertilizzanti: “Laddove pian piano l’agricoltura ha cominciato ad avere accesso a questo tipo di input si sono verificati grandi passi avanti. È successo nel dopoguerra in Italia e più recentemente nei paesi emergenti come la Libia, il Brasile la Cina. Il boom economico cinese nel settore agricolo è evidentemente legato all’utilizzo di tutta una serie di mezzi di produzione che hanno fatto si che ci sia stato negli ultimi decenni un aumento enorme di produttività e di disponibilità di derrate alimentali”, racconta Ciavatta.

COSA INSEGNA IL LAGO ARAL

Ma fertilizzanti e mezzi tecnici non fanno solo rima con sviluppo. Ci sono stati casi in cui l’uso smodato di prodotti chimici si è rivelato dannoso. Tra questi Assofertilizzanti ricorda il caso forse più emblematico. Aral, pochi decenni fa era il terzo lago più grande del mondo. Fino al 1960 la sua superficie era di 68mila chilometri quadrati e si estendeva nel cuore dell’Asia. Nel 2014 è stato dichiarato definitivamente prosciugato. Oggi, dopo 50 anni, semplicemente non esiste più. Cosa è davvero successo? Secondo le fonti più accreditate la causa andrebbe rintracciata nell’uso delle coltivazioni estensive, una pianificazione cieca delle acque irrigue, ma anche nell’uso smodato di prodotti chimici dannosi. Secondo il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, è uno dei più gravi disastri ambientali provocati dall’uomo.

LE RAGIONI DELL’OSTILITÀ

Ma generalizzare sarebbe un errore: “Non corriamo il rischio di demonizzare gli stessi mezzi che ci fanno vivere”, commenta a riguardo il professor Ciavatta. “Percepisco da sempre una certa ostilità quando si parla di fertilizzanti perché apparentemente portatori di elementi negativi. Ma attenzione, se i fertilizzanti vanno visti alla stregua degli alimenti per le persone e per gli animali, dovremmo adoperarci per la loro salute allo stesso modo di come facciamo con le popolazioni più bisognose di cibo”.
Proviamo a immaginare allora una pianta che vive in condizione in cui gli alimenti non sono sufficienti. Cosa si dovrebbe fare? “Occorre intervenire dall’esterno aiutando la pianta ad alimentarsi meglio, in maniera sufficiente ed equilibrata, così come accade con gli esseri umani”, suggerisce Ciavatta.
“E così come nell’obesità il problema non è l’alimento in sé, ma possono intervenire svariate cause come la genetica, le disfunzioni ormonali o una sovralimentazione, lo stesso vale nel caso dei fertilizzanti.
Cioè? “Se ci sono delle situazioni in cui i fertilizzanti sono stati usati in maniera non corretta, come avvenuto nel lago Aral, non è colpa del fertilizzante, ma di chi l’ha usato”, commenta il professore dell’Università di Bologna.

COSA FARE

“Bisogna innescare tutta una serie di processi dove i mezzi tecnici sono uno strumento, non sono un fine”, dichiara Ciavatta. Come? “Occorrono azioni coordinate a livello politico che consentano di mettere a disposizione i mezzi tecnici a chi ne ha bisogno e provvedere alla formazione degli agricoltori laddove si mostrano delle carenze. Questo è un progetto che va portato avanti con molta delicatezza. Non si può pensare di passare da un’agricoltura molto povera dal punto di vista tecnico, ad un’agricoltura molto avanzata, se il personale non è formato ad intraprendere questo percorso. Bisogna rispettare moltissimo le tradizioni, aiutare a migliorare. Ma deve essere un processo lento, graduale, continuo e seguito”, spiega il professore.

GUARDA UNA BREVE CLIP DEL DOCU-FILM

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