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Il decreto che modifica la legge sulla bancarotta è stato approvato il 23 giugno e mentre si attende che passino i 60 giorni perché sia convertito in legge dello Stato, Barclays approfondisce obiettivi ed effetti.

IL DECRETO CHE PIACE ALLE BANCHE

“Il governo italiano con questo decreto – si legge in un report – introduce cambiamenti alla legge sulla bancarotta, in particolare al processo di recupero dei collaterali da parte delle banche e al regime fiscale che deriverà dalla creazione di minori crediti di imposta. Come già argomentato in altre occasioni, crediamo che si tratti di cambiamenti positivi, in particolare per le banche più piccole che potrebbero aver bisogno di minori accantonamenti. Ma la nostra visione è stata rafforzata dopo una due giorni a Roma e a Milano durante la quale ne abbiamo dialogato con i rappresentanti dell’industria locale”.

I CAMBIAMENTI AI RAGGI X

Il decreto ha efficacia immediata e prevede alcune revisioni chiave. “La prima è che consente l’accesso al credito anche durante il processo di bancarotta, procedure più semplici e flessibili per gli accordi stragiudiziali e la ristrutturazione del debito, e procedure più snelle per la cessione dei collaterali”. Il decreto inoltre accelera la deducibilità degli accantonamenti: “Gli accantonamenti a copertura delle perdite – scrivono gli analisti – saranno deducibili in un anno invece che in cinque, dunque gli accantonamenti non saranno più penalizzati dal regime fiscale. E questo implicherà minori crediti di imposta anno dopo anno”. In sintesi, le modifiche prevedono che la bancarotta sia abbreviata, supportando “l’idea che le richieste di accantonamenti crollino. E proprio questa implicazione darà grande impatto alle banche italiane più piccole”.

L’IMPATTO MATERIALE SUL CET1

La legge, secondo Barclays, si tradurrà in un beneficio materiale di capitale, misurato in un aumento del valore attuale netto (Npv) e in una riduzione degli accantonamenti necessari per garantire i non perfuming loan. E questo effetto si realizzerà grazie all’accelerazione del processo di vendita dei collaterali che hanno come sottostanti i crediti inesigibili.
Barclays quantifica l’effetto dei cambiamenti in termini di Cet1, il principale coefficiente patrimoniale nel bilancio delle banche, quello su cui sono intervenuti gli ultimi stress test.

CHI FESTEGGIA DI PIU’

A beneficiarne in assoluto di più è Mps, con un impatto di 2 punti percentuali se la riduzione dei processi ammonterà a tre anni: con il ceti dunque che si porta dal 10,1% al 12%. Simile la situazione per Banco Popolare, con un impatto sul coefficiente patrimoniale simile, da 11,2% a 13%. Per Bpm il Cet1 può aumentare dal 12,6% al 13,2%, mentre per Ubi dall’11,8% al 12,7%. Unicredit ha un impatto decisamente inferiore (da 10,7% a 11,3%) così come Intesa, che passa solo dal 13 al 13,9%.

CHE SUCCEDE SE VIENE ABOLITO IL CREDITO D’IMPOSTA

Se invece si introduce nell’analisi numerica anche l’altro possibile (ma non probabile, specifica Barclays) elemento, ovvero la rimozione dei crediti di imposta e il conseguente cambiamento alla ponderazione del rischio, la situazione cambia decisamente. L’impatto maggiore sul Cet1 è proprio per Mps e il Banco che, considerando anche questo effetto, vedrebbero il Cet1 crollare rispettivamente al 7,4% e al 6,2% a fine 2105. Anche Ubi e Unicredit non ridono, a 7,7% e a 7,9%. Restano sopra la soglia degli ultimi stress test (a 10,1% e a 10,2%) solo Intesa e Bpm.

Mps, Banco Popolare e Ubi brindano al decreto Renzi. Report Barclays

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