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Chi confidava che l’odioso sentimento antisemita, nel corso degli anni, venisse meno e che addirittura fosse in via d’estinzione, si sbagliava alla grande. Ma l’aspetto che preoccupa di più è che quest’odio, come dimostrano i fatti di cronaca di cui molto si è parlato nelle ultime settimane e le continue manifestazioni all’interno delle università, provengono quasi totalmente dai giovani.

E il rapporto pubblicato giovedì 11 luglio dall’Ugei dimostra, infatti, quanto purtroppo ancora oggi sia alta la preoccupazione dei giovani ebrei italiani. I dati raccolti, che coinvolgono un primo campione di 230 intervistati ad un mese dagli eventi del 7 ottobre (Novembre 2023) e un secondo campione di 176 intervistati esattamente sei mesi dopo (Maggio 2024), dimostrano, infatti, che per oltre l’80% dei giovani l’antisemitismo nel nostro Paese è in forte crescita.

Tale dato è decisamente allarmante considerando che a questo si collegano, in primis, tre ulteriori elementi emersi dalle domande poste nel sondaggio. Il primo è che, in linea con questa preoccupazione, da questo report viene fuori una terribile percezione di un sentimento di non uguaglianza, dal momento in cui la maggioranza degli intervistati dichiara di sentirsi costantemente giudicata unicamente a causa della propria identità ebraica, con delle percentuali praticamente equivalenti nelle due rilevazioni (Novembre 2023, il 53% ha risposto Spesso e il 5% Sempre/ Maggio 2024, 50 % Spesso e il 7% Sempre). E, inoltre, inquietante come in entrambe le rilevazioni solamente il 5 e 6 % non si senta mai giudicato in quanto ebreo.

Il secondo e il terzo, altrettanto allarmanti, soprattutto in un periodo storico in cui quotidianamente si riempiono le piazze contro qualsiasi forma di discriminazione e di violenza, è che per più della metà degli intervistati la propria identità ebraica può costituire motivo di discriminazione sul posto di lavoro o di studio, e al contempo, la maggioranza di coloro che hanno risposto alle domande affermano che negli ultimi 7 mesi hanno dovuto cambiare abitudini per sentirsi più al sicuro.

Prendendo, poi, in considerazione un ulteriore e importantissimo quesito posto ai giovani intervistati, vale a dire quello riguardante la risposta delle istituzioni e dalla società civile a questi episodi, il quadro diventa davvero grave, dal momento in cui, le istituzioni, fatte salve quelle ebraiche, hanno risposto in maniera scarsa e insufficiente, e solamente il 3% dei ragazzi, sia nelle rilevazioni di novembre sia in quelle di maggio, ha ritenuto ottima le loro reazioni.

Un focus particolare va, invece, riservato ai fenomeni di antisemitismo all’interno degli atenei italiani, diventati in questi ultimi mesi l’epicentro di quel crescente clima di odio e intolleranza nei confronti di studenti israeliani ed ebrei, spesso vittima di discriminazione e, in alcuni casi, anche di violenza.  I dati emersi dal report dimostrano che per quasi la totalità degli studenti intervistati le università non rappresentano un luogo sicuro dove poter esprimere la propria identità ebraica (71%), con le percentuali che aumentano vertiginosamente quando riguardano l’espressione di opinioni su Israele (86%). Questo è forse il dato che dovrebbe far più riflettere, considerando che le università debbano essere prima di tutto e senza alcun ombra di dubbio luoghi di discussione, dialogo e confronto, in ossequio al principio per cui, riprendendo le parole di Papa Francesco in visita agli studenti agli studenti dell’Università Roma Tre, “dove non c’è dialogo c’è violenza”.

Per quanto concerne, invece, la risposta delle università italiane e le misure poste in essere per contrastare episodi antisemiti al loro interno, i dati che emergono sono angoscianti, considerato che solo il 5% degli studenti intervistati riporta una risposta adeguata da parte dell’Università di fronte agli episodi di antisemitismo, mentre nel 95% dei casi è stata giudicata inadeguata, con oltre il 70% che la ritiene insufficiente. Analizzando questi dati, vi è il rischio che, come ha affermato recentemente il semiologo Ugo Volli, “si stia facendo strada quella strana convinzione che gli atenei siano una specie di spazio dove vige una bizzarra e medievale immunità. Un parco giochi dove tutti possono esercitare violenze”.

Sempre all’interno del report dedicato all’antisemitismo all’interno degli atenei affiora un ulteriore elemento a dir poco preoccupante, ossia quello riguardante i commenti e discorsi antisemiti da parte dei propri compagni di corso, ove due terzi degli intervistati ha risposto di aver assistito o di essere stato addirittura vittima. Ancor più grave è, poi, l’ultimo dato del rapporto: il 35% degli intervistati ha riportato, infatti, di aver osservato esternazioni da parte dei docenti, che seppur trattandosi di una minoranza, ha un valore altamente significativo, e dimostra che il vento dell’antisemitismo si è prepotentemente rialzato e dalle piazze, quotidianamente riempite in ogni parte d’Italia, ormai entra facilmente nelle istituzioni e si infila nelle scuole e nelle università, luoghi primari in cui si dovrebbe combattere razzismo e discriminazione.

Per Luca Spizzichino, presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia, “Il quadro che emerge è di una crescente preoccupazione tra i giovani ebrei italiani, che si sentono giudicati e discriminati a causa della loro identità. Chiediamo un impegno concreto e immediato da parte di tutte le componenti della società per combattere l’antisemitismo in ogni sua forma. Non possiamo permettere che l’odio e la discriminazione diventino la norma, ed è fondamentale garantire la sicurezza e la libertà di espressione di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro fede”.

Questo rapporto va letto in concomitanza alla relazione fornita dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, secondo cui dagli attentati di Hamas dello scorso ottobre sono quasi quadruplicati i casi di discriminazione in Italia, tanto da indurre il generale Pasquale Angelosanto, già comandante del Ros dei carabinieri e oggi coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, a lanciare un campanello d’allarme, evidenziando un cambiamento nella natura degli episodi, non più solamente via web, come accadeva in passato, bensì con la partecipazione diretta, e dunque con offese dirette e personali.

 

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Di Francesco Spartà

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