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Mentre il dibattito a Washington ruota — su entrambi i fronti — attorno al potenziale ritiro di Joe Biden, a Taipei sale la preoccupazione per un unicum storico senza precedenti negli ultimi 44 anni. Per la prima volta dal 1980, Taiwan non è stata menzionata nella piattaforma politica del Comitato nazionale repubblicano (Rnc), un programma di massima che è stato pubblicato questa settimana e che dovrebbe indicare il perimetro dell’azione presidenziale dell’amministrazione di Donald Trump dovesse essere lui il vincitore (circostanza sempre più probabile dopo l’attentato, come analizza Roberto Arditti).

Si parte col dire che non stiamo parlando di un vero e proprio programma con dettagli e attività, idee e progetti, tanto che il Partito Repubblicano non aveva prodotto un documento simile per il 2020. Tuttavia, quella ancora precedente, la piattaforma del 2016, descriveva l’isola come un “amico fedele” e si impegnava ad “aiutare Taiwan a difendersi”. Ma quello che verrà approvato lunedì alla Convention di Milwaukee — che incoronerà ufficialmente Trump — sarà la base su cui si edificheranno le azioni del prossimo potenziale governo americano.

Va inoltre detto che questa esclusione della Repubblica di Cina dalla visione ideale repubblicana arriva nonostante un’intensa attività di sensibilizzazione condotta dalla sede diplomatica taiwanese a Washington — che secondo i dettami della One China Policy si chiama “Ufficio di rappresentanza economica e culturale di Taipei”, acronimo Tecro — condotta da mesi per convincere i pensatori del Grand Old Party a inserire Taiwan nel programma. Da qui la conseguente preoccupazione, che esce dal dedalo politico washingtonians: se i repubblicani e Trump — che con la Cina si annunciano falchi, criticano Biden perché troppo “weak” e annunciano la ripresa di una politica smaccatamente severa contro Pechino sulla linea delle sparate contro-narrative trumpiane della precedente amministrazione — insomma se nemmeno loro, che sono uno spauracchio su cui anche Pechino ha dubbi per quel che verrà, non parlano del destino dell’isola, “allora che ne sarà di noi?”, si chiedono i taiwanesi.

Politico ha due fonti dell’ambiente istituzionale americano, una tra gli ex funzionari del governo e una dall’ufficio di rappresentanza taiwanese, che spiegano che le richieste avanzate al Rnc includevano il fare riferimento nella piattaforma almeno all’importanza di Taiwan per la sicurezza dell’Indo Pacifico. Ma non sono state accolte. Stuart Lau, giornalista molto informato su certe dinamiche, spiega che l’omissione ha suscitato profonda preoccupazione tra i funzionari dell’avamposto taiwanese a Washington, tanto che “questi funzionari temono rappresaglie politiche interne da parte di politici dell’opposizione che potrebbero cercare di ‘attribuire la colpa a qualcuno del Tecro per aver perso slancio a Washington”, con il Gop — che si avvia verso una possibile vittoria alle elezioni presidenziali di novembre,

Nessuno commenta ufficialmente. “Non siamo d’accordo con la vostra speculazione non verificata riguardo all’impegno del Tecro con il Comitato Nazionale Repubblicano o al nostro atteggiamento nei confronti della sua bozza di piattaforma”, ha dichiarato mercoledì la portavoce dell’ufficio in un comunicato. Posizione classica: è prassi consolidata della diplomazia taiwanese non commentare scelte politiche di Paesi terzi, anche per evitare di essere accusati di interferenze — per primo dalla Cina, sempre pronta a evidenziare potenziali lati negativi delle azioni di Taipei.

La vicenda ha aspetti rappresentativi. Opinion leader repubblicani come Elbridge Colby sostengono che quanto accade è effetto della pressione fatta dai taiwanesi sul sostegno all’Ucraina, che Taipei individuava come posizione voluta dall’attuale amministrazione e mutuo interesse (se gli Usa avessero sostenuto adesso Kyiv contro la Russia, poi avrebbero fatto lo stesso se fosse servito a Taiwan contro la Cina). Colby, che conosce il pensiero del Grand old party (i repubblicani, il Gop) e di Trump suggerisce che quel sostegno in futuro, dovesse cambiare colore la Casa Bianca, potrebbe avere un prezzo. “I repubblicani saranno molto più desiderosi di aiutare coloro che si concentrano sulla Cina e aiutano se stessi”, e se per il primo aspetto su Taiwan i dubbi sono pochi, per il secondo la questione passa dal tema — anche di carattere politico interno — che riguarda gli investimenti messi a disposizione dal governo per la Difesa.

Tradotto con le parole che lo stesso Colby ha usato in un op-ed uscito a maggio sul Taipei Times: “Taiwan non ha più tempo a disposizione. È sul filo del rasoio in termini di difendibilità contro un assalto cinese per il quale Pechino si sta preparando. Il compito di Taiwan è molto impegnativo ma semplice. Aumentare significativamente le spese per la difesa”. E ancora, definitivo su questo genere di pensiero: “Se Taipei non riesce a investire nelle difese dell’isola, allora potrebbe arrivare un momento in cui Taiwan semplicemente non sarà più difendibile. A quel punto, le mani dell’America saranno legate e saremo costretti a prepararci a negare le ambizioni egemoniche della Cina [ma] dopo la caduta di Taiwan. Per essere chiari, non vogliamo assolutamente questo risultato, ma la lassità di Taiwan aumenta il rischio che saremo costretti a confrontarci con questa scelta terribile”.

Sostituire Taiwan con Unione europea potrebbe essere un esercizio utile per comprendere un futuro statunitense che è già arrivato, apparentemente rallentato dalla postura più idealista e narrativa dell’amministrazione Biden, che però nei termini generali condivide tale visione di lungo termine — anche perché per buona parte condivisa dalle variegate collettività statunitensi.

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