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Con il passaggio di Italcementi a HeidelbergCement, l’Italia perde un pezzo fondamentale della sua storia e Piazza Affari, al termine dell’Opa obbligatoria, rischia di vedersi privata di un simbolo (di un ticker, come si dice adesso) che l’ha accompagnata per più di 90 anni.

Certo, si tratta di un’operazione di mercato che riconosce ai Pesenti subito e a tutti gli altri azionisti che decideranno di aderire all’Opa obbligatoria successiva, un premio davvero significativo rispetto ai corsi di Borsa (10,6 euro contro i 6,6 della chiusura di martedì 29 e il 70% in più rispetto alla media prezzo degli ultimi tre mesi), a testimonianza dell’importanza che il deal riveste per Heidelberg che ha bisogno di incrementare produzione e massa critica e allo stesso tempo della sottovalutazione borsistica di Italcementi.

Così coma va dato merito alle due aziende di avere tenuto coperte le trattative, visto che il titolo Italcementi ha avuto un’impennata comunque limitata al 6% solo nella seduta di ieri a poche ore dalla definizione dell’operazione quando sono circolati i primi rumor di dialoghi tra i due gruppi.

Tuttavia fa specie, e non depone a favore del sistema Paese, che l’Italia perda un altro ganglio strategico e di valore (come dimostra il prezzo pagato dai tedeschi) della sua industria e che un altro imprenditore (questo addirittura alla quinta generazione e a distanza di 150 anni dalla fondazione del gruppo) ceda il passo alla globalizzazione diventando oggetto e non protagonista attivo dell’m&a.

Lo hanno già fatto numerosi gruppi della moda, lo ha fatto con modalità e garanzie diverse la Pirelli di Tronchetti Provera con ChemChina, lo vorrebbero fare Elkann e Marchionne portando Fca (già americana per tre quarti pur con azionisti italiani) tra le braccia di GM. Sì, perché Italcementi nasce nel 1864 a Scanzo in provincia di Bergamo come Società Bergamasca per la Fabbricazione del Cemento e della Calce Idraulica per iniziativa di Giuseppe Piccinelli. Agli inizi del Novecento, la gestione passa nelle mani dei fratelli Pesenti che fondono la loro società Fabbrica Cementi e Calci Idrauliche Fratelli Pesenti fu Antonio con la società creata da Piccinelli; nasce così un gruppo che può contare su 12 cementerie con più di 1.500 addetti e con una produzione di oltre 210 mila tonnellate.

Nel 1924 la società si quota in Borsa e due anni dopo cambia la ragione sociale in Italcementi. Nei primi anni Quaranta le redini passano a Carlo Pesenti, terza generazione della famiglia. Sarà lui a guidare la fase di sviluppo del gruppo che si scinda in tre società: Sacelit, Società Calci Idrate d’Italia e Italmobiliare. A quest’ultima (che nel 1979 passerà da controllata a controllante di Italcementi) vengono assegnate le partecipazioni azionarie non legate al core business che, nel tempo, includeranno assicurazioni, banche, industrie e giornali.

Al compimento del primo secolo di vita, nel 1964, Italcementi può contare su 8 consociate e 28 stabilimenti. Ha una produzione di 7,5 milioni di tonnellate e occupa il 13cesimo posto fra le società nazionali per fatturato. Alla fase di espansione, sostenuta dal ciclo positivo dell’edilizia, segue negli anni Settanta un periodo più critico legato alle difficoltà connesse alla crisi petrolifera e alla conseguente esplosione dell’inflazione e dei tassi di interesse. Giampiero Pesenti prende in mano l’azienda, di cui già è direttore generale, a metà degli anni Ottanta e avvia la campagna di internazionalizzazione del gruppo rifocalizzando l’azienda, molto indebitata, sul core business.

La svolta di crescita esterna è datata 1992 con l’acquisizione di Ciments Français, la più rilevante acquisizione industriale realizzata all’estero da un gruppo italiano; il fatturato passa da 775 milioni di euro a quasi 2,6 miliardi e il peso dell’Italia sui ricavi del gruppo scende da 97 al 27% grazie alla presenza in 13 Paesi che poi saliranno ancora con Europa dell’Est, India, Marocco, Egitto e Cina.

E si arriva ai giorni nostri, quando il gruppo si deve scontrare con i grandi player internazionali asiatici e anche europei con la recente integrazione tra Holcim e Lafarge. I Pesenti, con al timone Carlo (figlio di Giampiero), giocano la sfida dei materiali innovativi e del massimo sviluppo tecnologico che dà frutti sotto il profilo produttivo e del rispetto dell’ambiente ma si deve confrontare con i numeri mostruosi dei competitor che finiscono col penalizzare la redditività dell’azienda. E che impongono di fatto l’integrazione e la conquista tedesca.

Perché (purtroppo) Italcementi diventa tedesca

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