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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Nina Adam apparso su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

L’aumento vertiginoso del costo del lavoro in Germania sta iniziando a minare la celebre competitività del Paese, minacciando di compromettere la crescita economica e gli investimenti nella maggiore economia d’Europa. Spinti da un’economia sana e da una disoccupazione a livelli minimi quasi da record, il costo del lavoro sta crescendo rapidamente.

I dati ufficiali pubblicati questo mese hanno mostrato che nel primo trimestre le retribuzioni reali sono cresciute al ritmo più alto dal 1992, quando gli stipendi nella Germania Est hanno avuto un’impennata a seguito dell’unificazione del Paese, e più rapidamente rispetto alla zona euro nel suo complesso. Le imprese tedesche affermano di risentire della situazione, ma a Berlino i politici ignorano un trend che economisti e manager hanno avvertito che, se trascurato, colpirà la crescita e i livelli di occupazione. «L’aumento del costo del lavoro è il problema più critico», ha dichiarato Martin Kapp, ceo di Kapp Werkzeugmaschinen, produttore di macchine utensili, che prevede aumenti nella spesa per il personale di circa il 30% nell’arco dei prossimi dieci anni.

All’inizio del secolo, la moderazione salariale e lo spostamento verso contratti di lavoro più flessibili, che hanno consentito alle imprese di licenziare più facilmente e hanno portato a un aumento dell’impiego temporaneo, hanno convertito l’economia tedesca da una delle basi industriali più costose del mondo alla fine degli anni 90 a uno dei più formidabili esportatori del giorno d’oggi. Ma ricorrenti scioperi in settori come trasporti, istruzione e sanità, abbinati ai notevoli aumenti salariali di quest’anno, hanno evidenziato un’accelerazione del trend che i critici ritengono inasprirà qualsiasi eventuale fase di recessione. «In quattro o cinque anni, la Germania potrebbe avere perso la competitività acquisita nell’arco degli ultimi dieci anni tramite la moderazione dei salari», ha avvertito Jörg Krämer, capo economista di Commerzbank.

La Germania potrebbe infatti finire in una posizione «simile a quella della Francia di oggi», dove un mercato del lavoro statico e la sua regolamentazione stanno compromettendo la crescita, l’occupazione e gli investimenti. Christian Kohlhaas, che gestisce una società di costruzioni vicino a Coblenza, ha riportato che il costo del lavoro ha registrato un incremento del 15% circa negli ultimi quattro o cinque anni, in quanto i salari hanno avuto un’impennata e gli obblighi di legge sono stati inaspriti. Per quanto gli alti funzionari della pubblica amministrazione e gli economisti abbiano suonato il campanello d’allarme sul tema dell’erosione della competitività tedesca, gran parte delle misure economiche varate dal governo della cancelliera Angela Merkel negli ultimi due anni hanno aumentato la regolamentazione del mercato del lavoro.

Quest’anno Berlino ha introdotto uno stipendio minimo obbligatorio di 8,50 euro l’ora, ha irrigidito le disposizioni in materia di contrattazione collettiva ed è previsione generale che introdurrà limiti più stretti al lavoro interinale. In base ai dati dell’Ocse, il costo unitario del lavoro, che misura la produttività della manodopera, dal 2012 è salito in media del 2,4% ogni anno, mentre è diminuito rispettivamente dell’1,3% e del 4,1% annuo in Spagna e in Grecia, segno che la Germania sta rapidamente perdendo terreno rispetto agli altri membri della zona euro, che hanno invece dato un giro di vite agli eccessi salariali, sulla scia della crisi del debito dell’area euro. Lo scorso anno, secondo l’Ufficio federale di statistica, le retribuzioni contrattuali sono aumentate del 2,9%, il doppio rispetto alla Francia.

Una recente indagine condotta dalla Dihk, Camera di commercio e dell’industria, ha mostrato che metà delle società intervistate considera l’aumento del costo del lavoro come il principale rischio per i propri affari. «La Germania si sta giocando il vantaggio competitivo rispetto alla zona euro», ha avvertito Dirk Schlotböller, economista della Dihk. Una domanda globale sana, un tasso di cambio per l’euro più debole e le misure della Bce volte a sostenere l’attività economica dell’area hanno ammortizzato gli effetti della crescita del costo del lavoro sulla ripresa economica tedesca. Con un tasso del 4,7%, secondo gli standard dell’Ilo, la disoccupazione in Germania è la più bassa dell’intera zona euro e le offerte di lavoro sfiorano il record.

Gli analisti avvertono tuttavia che lo slittamento della competitività tedesca indebolirà l’economia e allenterà la pressione sugli altri Paesi della zona euro che devono accelerare ristrutturazioni estremamente necessarie. Per Kohlhaas, al momento l’impennata degli stipendi e l’aumento della regolamentazione sono gestibili grazie a un buon livello di commesse, ma potrebbero rendere una prossima contrazione dell’economia difficile da superare.

Traduzione di Giorgia Crespi da The Wall Street Journal Europe

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