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C’è anche Eni, insieme con Royal Dutch Shell, Total, BP Statoil, nel nuovo think thank che i big del petrolio d’Europa stanno mettendo insieme, secondo le indiscrezioni di Bloomberg, per sviluppare posizioni comuni sui temi del cambiamento climatico.

Le aziende europee dell’oil&gas hanno deciso di unirsi per mettere a punto una strategia congiunta sui cambiamenti climatici che contrasti la visione diffusa propugnata dagli ambientalisti – anche perché l’Europa spinge sulla riduzione dei gas serra, i Paesi del mondo sono pronti a incontrarsi di nuovo per allargare i loro obiettivi in fatto di lotta alla CO2 e  i grandi dell’oil&gas non vogliono fare la parte del cattivo ed essere lasciati fuori dalla cerchia di chi prende le decisioni.

Grandi assenti del gruppo – per ora – i colossi americani Exxon Mobil e Chevron; tuttavia, non è detto che non entrino anch’essi nel think thank perché le fonti confidenziali di Bloomberg rivelano che l’annuncio pubblico sarà fatto solo il prossimo mese.

SPINTA SUL GAS NATURALE

Da qualche anno ambientalisti e diversi governi del mondo spingono per ridurre la quota di combustibili fossili utilizzati a favore delle fonti di energia rinnovabili e “pulite” come il solare e l’eolico. Le aziende del petrolio non solo sono tagliate fuori dai nuovi investimenti ma anche dal dibattito. Uno degli obiettivi dei gruppi del petrolio europei pronti a unire le forze sarebbe quello di promuovere l’uso del gas naturale come fonte molto più “climate-friendly” a danno del carbone, che molti Paesi ancora utilizzano pesantemente e che, come noto, è la fonte fossile  che inquina di più.

“Ci sono aziende che ora hanno intenzione di andare oltre il tradizionale atteggiamento difensivo dell’industria se non altro dando l’impressione di voler ripensare la loro strategia e parte della loro attività”, commenta Carole Mathieu, research fellow del French Institute for International Relations a Parigi.

“INSIEME PER ESSERE PIU’ FORTI”

L’alleanza tra i big del petrolio non è ufficiale, ma ieri il Ceo di Shell Ben van Beurden ha dichiarato che la sua azienda si prepara a indicare con chiarezza qual è la sua visione sul futuro dell’industria, in particolare riguardo a un accresciuto uso del gas per la generazione di energia come mezzo cruciale per abbattere le emissioni di CO2. “Gli obiettivi sulla riduzione delle emissioni non sono sufficienti”, ha detto. “Presenteremo la nostra idea su quello che pensiamo debba essere fatto per limitare la CO2”.

L’industria dell’oil&gas reagisce al pericolo di vedere le proprie attività limitate dalle nuove politiche disegnate per arginare il fenomeno del cambiamento climatico. L’Agenzia internazionale dell’energia ha indicato che è probabilmente necessario che la metà di tutte le riserve di combustibili fossili restino non sfruttate per evitare il surriscaldamento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacciai.

“Stiamo provando a metterci insieme e parlare con una voce sola sui temi del cambiamento climatico”, aveva indicato ad aprile il Ceo di BP Bob Dudley. E il numero uno di Total Patrick Pouyanne ha detto nei giorni scorsi a Parigi che gli attori della sua industria devono collaborare: “Insieme saremo più forti”.

Il Ceo di Statoil Eldar Saetre ha abbracciato l’obiettivo delle Nazioni Unite di limitare il riscaldamento globale a 2 gradi Celsius e ha creato una divisione “energie rinnovabili” e anche descritto quali secondo lui dovrebbero essere le misure che l’industria del petrolio deve adottare, per esempio il passaggio a combustibili più puliti come il gas, una riduzione del flaring (che anche Eni supporta) e sostegno alle politiche di carbon pricing (sistemi di tassazione sul carbonio e/o di scambio dei diritti di emissioni per fissare un prezzo della CO2, definiti anche dall’Ocse come lo strumento più efficiente per la lotta ai cambiamenti climatici).

“Se non adottiamo queste misure rischiamo di trasformarci in un’industria tagliata fuori dalla cerchia di chi conta e additata come la causa dei problemi ambientali”, ha detto Saetre.

GLI INVESTIMENTI SI ALLONTANANO

Shell sta cercando di convincere le altre aziende della sua industria a farsi conoscere meglio, a spiegare qual è il punto di vista dei produttori di petrolio e quello che possono ancora offrire allo sviluppo industriale del mondo. Per Shell è necessario diffondere argomenti alternativi a quelli messi in campo dagli ambientalisti che vorrebbero distruggere in un sol colpo l’attività dell’industria del petrolio e che già hanno convinto importanti istituzioni come Rockefeller Brothers Fund e Stanford University (oltre ad altre università con programmi di sostegno meno cospicui) ad abbandonare ogni investimento nei combustibili fossili.

“Tutte le aziende petrolifere devono diventare low-carbon o zero-carbon entro il 2050”, sostiene Paul Simpson, Ceo del Carbon Disclosure Project, che aiuta 822 investitori istituzionali, con un totale di 95.000 miliardi di dollari di investimenti, ad analizzare i rischi dei loro investimenti legati ai temi della sostenibilità. “Il settore oil&gas non ha ancora dimostrato di aver intrapreso questa transizione. E mentre indugia, le preoccupazioni degli investitori crescono”.

“In passato abbiamo pensato fosse meglio mantenere un profilo basso. Ora questa non è più la tattica migliore”, afferma Van Beurden di Shell. “Dobbiamo far sentire la nostra voce tra i governi, nella società civile, tra le persone comuni”.

Le aziende europee sono più sensibili ai temi ambientali perché i Paesi europei sono all’avanguardia mondiale nelle politiche per combattere il cambiamento del clima. L’Unione europea ha in progetto di ridurre le emissioni di CO2 del 40% entro il 2030, il doppio di quanto si è impegnata a fare per il 2020.

AMBIENTALISTI ALL’ATTACCO

All’inizio di questa settimana, la riunione annuale degli azionisti di Shell è stata particolarmente turbolenta: alcuni attivisti ecologisti hanno preso il sopravvento presentandosi vestiti da orsi polari e gridando contro i progetti di perforazioni nell’Artico del colosso anglo-olandese. I piani di Shell nell’Artico sono da sempre controversi: le operazioni in questa regione sono iniziate nel 2012 e da allora i timori di danni al fragile ambiente polare si sono moltiplicati. Gli ambientalisti si preoccupano che se Shell provocherà un incidente simile a quello di BP nel Golfo del Messico cinque anni fa il disastro sarebbe ancora più grave.

Il Ceo Ben van Beurden ha difeso la sua azienda dicendo che è la prima nella sua industria ad aver riconosciuto il nesso tra emissioni di CO2 e cambiamento climatico: “Abbiamo studiato una strategia molto pragmatica per posizionare la vostra azienda”, ha dichiarato rivolto agli azionisti, “in una transizione di lungo termine delle attività legate all’energia che è già iniziata”. E sull’Artico ha assicurato: “Stiamo gestendo i rischi perché siano ridotti al minimo, siamo a livelli che riteniamo accettabili, direi trascurabili”.

LA NECESSARIA TRASFORMAZIONE

Sicuramente l’industria del petrolio sa di doversi trasformare per continuare a operare in un mondo che cerca di inquinare meno. Anche il Ceo di Exxon Mobil Rex Tillerson, pur non facendo parte per ora della partnership, ha avuto modo di dichiarare lo scorso mese che la domanda di energia mondiale esige dalle aziende che si sono finora basate sui combustibili fossili di cercare nuove risorse, o “i riflettori sulla nostra industria si spegneranno molto presto”. Il presidente di BP Carl-Henric Svanberg ha indicato agli investitori lo scorso mese che “i combustibili fossili saranno parte di un mix di energie più equilibrato e sostenibile per i prossimi decenni”.

Ovviamente i colossi del petrolio respingono la visione di chi vorrebbe l’abbandono completo delle fonti fossili, facendo notare che lo sviluppo delle economie richiede anche queste fonti di energia. Tuttavia i produttori, soprattutto europei, sono consapevoli del fatto che le emissioni dei combustibili fossili sono un problema per il clima e che una trasformazione della loro attività è necessaria, puntando innanzitutto sul gas naturale il cui impatto sull’ambiente è ridotto.

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