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Ci sono alcuni elementi nel dibattito politico e sindacale che emergono in tutta la loro chiarezza e senza accampare alcun pregiudizio ideologico perché ci si limita semplicemente a fotografare la realtà. E la conferma arriva, puntuale, attraverso la verifica delle scelte concrete dei rispettivi attori pubblici e non con gli anatemi politici o le pregiudiziali personali. Fuor di metafora, e senza alcuna polemica, dobbiamo prendere atto che con l’attuale segreteria nazionale della Cgil da un lato e la contemporanea guida del Pd dall’altro le lancette del rapporto tra il sindacato e il partito sono ritornate indietro di molti anni. O meglio, siamo ritornati alla classica tradizione della sinistra comunista dove il sindacato non era nient’altro che la “cinghia di trasmissione del partito” di riferimento, cioè il Pci.

Certo, in questo caso abbiamo una sorta di “cinghia di trasmissione” al contrario. Dove l’agenda viene invece dettata dal sindacato e il principale partito della sinistra italiana, almeno così pare, esegue. Ma questo fatto è riconducibile solo a chi ha più carisma nel partito o nel sindacato in quel particolare momento storico. Certo, nel passato i confronti erano diversi – basti pensare a Berlinguer e Lama – anche perché c’erano i leader e gli statisti nella politica e nel sindacato. Oggi, purtroppo per tutti, l’offerta è cambiata e il mercato della classe dirigente è quello che è. Ma, al di là di questa persin scontata riflessione, è indubbio che non possiamo non registrare una pesante regressione sul terreno dell’autonomia delle forze sociali rispetto alla politica e ai partiti. Sotto questo versante, il ruolo e la funzione della Cisl restano esemplari. E non solo perché l’autonomia era, e resta, un caposaldo costitutivo della storia e della identità del “sindacato bianco” ma anche, e soprattutto, per la capacità dei suoi leader nazionali di aver saputo mantenere e salvaguardare questa specificità nelle varie fasi storiche e politiche del nostro Paese.

E oggi la linea e la strategia della Cisl a guida Luigi Sbarra può rivendicare, ad alta voce, di non avere alcun problema sul fronte del collateralismo o della subalternità o dell’appiattimento nei confronti di alcune forze politiche o di governo. Perché, appunto, la forza della Cisl risiede unicamente nel suo coraggio e nella sua coerenza di essere autonoma dalle singole appartenenze partitiche e politiche. È appena sufficiente fare un confronto con la strategia perseguita quotidianamente da Landini e dalla Cgil e, di conseguenza, dai suoi partiti di riferimento – Pd su tutti e di risulta i populisti dei 5 Stelle – per rendersi conto che c’è una strutturale e permanente commistione politica tra il ruolo del partito e la funzione del sindacato. Di fatto, non si capisce dove finisce il primo e dove comincia il secondo. Anche perché, com’è ormai evidente a tutti, si tratta della medesima agenda politica, culturale, sociale e di schieramento.

Si moltiplicano, infatti, scioperi e mobilitazioni di natura politica e gli argomenti al centro dell’agenda di governo diventano sempre più oggetto di contestazione politica da parte del sindacato e dei partiti collaterali. Ecco perché, soprattutto in questa fase storica e politica, è quantomai importante evidenziare la triplice specificità che storicamente accompagna il cammino della Cisl. E cioè, l’autonomia dalla politica e dai partiti, la priorità dei contenuti e la centralità della contrattazione. A livello locale come a livello nazionale. Una specificità che rende la Cisl semplicemente moderna, attuale e contemporanea. A vantaggio della qualità della democrazia, del rispetto dei valori della Costituzione e della credibilità del sindacato, della politica e degli stessi partiti.

In cosa risiede la modernità della Cisl. L'opinione di Merlo

L’autonomia era, e resta, un caposaldo costitutivo della storia e della identità del “sindacato bianco” ma anche, e soprattutto, per la capacità dei suoi leader nazionali di aver saputo mantenere e salvaguardare questa specificità nelle varie fasi storiche e politiche del nostro Paese. Il commento di Giorgio Merlo

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