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Se ci limitassimo alla definizione riportata su Wikipedia, saremmo portati ad intendere la famiglia come “un nucleo sociale rappresentato da due o più individui che vivono nella stessa abitazione e, di norma, sono legati tra loro col vincolo del matrimonio, con convivenza, o da rapporti di parentela o di affinità”. Se però così fosse, se cioè cedessimo alla tentazione di ridurla ad un mero aggregato di individui, più o meno causale, del tutto equiparabile a qualsivoglia altra formazione sociale, risulterebbe persino logico definire come familiare qualsiasi relazione, più o meno stabile, tra più individui, fondata su un’unione persino non necessariamente eterosessuale.

Le moderne tendenze culturali da un lato, e l’indebolimento dei riferimenti morali delle società occidentali dall’altro, alimentano – purtroppo anche tra i cattolici – un equivoco e fuorviante concetto di famiglia che, inquadrandola in una dimensione sempre più individualistica, ne svuota il ruolo sociale con conseguenze profonde sul piano della disgregazione dei legami sociali e della società nel suo insieme. Su questo equivoco lessicale si giocano il destino della famiglia e, in chiave politica, le stesse prospettive di rilancio della società europea e italiana.  

Il magistero sociale della Chiesa, al contrario, ci pone di fronte ad una semantica della famiglia che ci svela, per usare la felice espressione di Pierpaolo Donati, la sua “soggettività sociale” che è, nello stesso tempo, un carattere intrinseco della famiglia cristianamente intesa, la quale, presuppone il riconoscimento di un progetto di vita che va ben oltre il proprio, sia in termini relazionali che temporali. La famiglia, infatti, “nasce dall’amore di Dio, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr. Gen 2, 24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno d’amore” (Lumen fidei, n. 52). La fede, perciò, “ci illumina sul senso più intimo e personale e, nel contempo, civile e pubblico della famiglia” (D.Antiseri-F.Felice, La vita alla luce della fede, Rubbettino, 2013).

La soggettività sociale della famiglia si manifesta, dunque, sia nel carattere pre-statuale delle relazioni matrimoniali e di filiazione, rispetto alle quali al legislatore è preclusa ogni forma di intervento; sia nella rilevanza pubblica di tali legami che, in quanto sfera di relazioni, connota la famiglia come una formazione sociale degna di essere tutelata e protetta dall’ordinamento. Del resto, è proprio grazie alla famiglia ed all’interno della sua complessa rete relazionale che si forma la persona che, a sua volta, è l’elemento fondamentale del sistema economico, politico e culturale (F. Felice).

La famiglia – basata sulla piena reciprocità dei sessi e fra le generazioni (P. Donati) – è il luogo in cui si coltivano le virtù personali e, nello stesso tempo, la formazione sociale in grado di trasformarle in virtù pubbliche e, quindi, in capitale sociale. Da essa, dunque, possono dipendere la stessa vitalità economica della società, la propensione al risparmio o ad effettuare investimenti, gli assetti proprietari del sistema imprenditoriale e le loro dimensioni delle imprese, la capacità di autogoverno, la propensione al rispetto delle regole e la presenza di sufficienti anticorpi contro la corruzione pubblica e privata, e finanche l’articolazione del sistema di welfare. È evidente, perciò, come l’indebolimento della famiglia naturale, la messa in discussione della sua realtà simbolica (composta da padre, madre e, per le coppie a cui tale dono è concesso, figli), così come pure il rafforzamento dei soli legami familiari in un quadro di indifferenza rispetto al bene dell’altro (famiglie-clan), possano provocare conseguenze sulle dinamiche sociali rispetto alle quali occorre estrema prudenza e consapevolezza.

L’influenza della Dottrina Sociale della Chiesa e la consapevolezza del legame sussistente tra le relazioni familiari e le dinamiche sociali, è ben riscontrabile anche nei lavori dell’assemblea costituente e nella stessa carta costituzionale, laddove ne riconosce un ruolo centrale per lo sviluppo del Paese. Nonostante tale evidenza, nel dibattito odierno persiste una grave confusione tra il piano dei diritti individuali (qual è il rivendicato “diritto di sposarsi”, riconosciuto come diritto fondamentale dell’uomo) e quello della funzione sociale della “famiglia naturale fondata sul matrimonio” di cui all’art. 29 della Costituzione che, in virtù della sua naturale propensione alla trasmissione della vita ed alla formazione delle persone, è riconosciuta come fondamentale formazione sociale, precedente rispetto allo Stato (e, quindi, al legislatore stesso), e tutelata in quanto elemento cardine per lo sviluppo della società.

Del resto, se tra questi due piani connessi ma non sovrapponibili non ci fosse una distinzione netta, lo stesso art. 29 della Costituzione, primo articolo del Titolo II dedicato ai “Rapporti Etico-Sociali”, perderebbe di significato risultandone l’oggetto di tutela perfettamente identico a quello di cui all’art. 2 della Costituzione, laddove vengono invece riconosciuti e tutelati “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

La difesa della centralità della famiglia naturale fondata sul matrimonio e della sua diversità rispetto a qualsiasi altra forma di unione stabile tra due o più soggetti si traduce, dunque, in una battaglia prima culturale e poi politica per la promozione di una certa idea di società e di un determinato modello di sviluppo. Detto ciò, non v’è dubbio che la famiglia naturale fondata sul matrimonio sia in crisi, così come pure che qualsiasi forma di discriminazione meriti di essere contrastata. La famiglia non è però in crisi come istituzione: non v’è (ancora) un esplicito disconoscimento del suo ruolo di cellula fondamentale della società bensì una crisi di senso e di allontanamento dalla verità della relazione sponsale tra l’uomo e la donna che ha prodotto modelli familiari che non si sono dimostrati in grado di assolvere ai compiti naturalmente assegnati alla famiglia ed in cui i coniugi hanno talvolta rinunciato ad assumersi le relative responsabilità verso se stessi, verso i figli e la società nel suo insieme.

Contro tale deriva, la famiglia cristianamente intesa, lasciandosi illuminare dalla Fede, deve contrapporre i propri anticorpi raccogliendo la sfida di un nuovo umanesimo.  La ricoperta del senso autentico della famiglia e del suo ruolo sociale, non è infatti un tema appannaggio solo dei cattolici – una sorta di battaglia di retroguardia contro la modernità – ma della società nel suo insieme, poiché da essa discendono effetti sull’intero sistema sociale, con conseguenze sulla sfera economica, politica ed etico-culturale e, in definitiva, sullo sviluppo umano.

L’equivoco di una famiglia a matrice individualistica

Se ci limitassimo alla definizione riportata su Wikipedia, saremmo portati ad intendere la famiglia come “un nucleo sociale rappresentato da due o più individui che vivono nella stessa abitazione e, di norma, sono legati tra loro col vincolo del matrimonio, con convivenza, o da rapporti di parentela o di affinità”. Se però così fosse, se cioè cedessimo alla tentazione di…

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