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Certo non è di buon auspicio condurre un difficile negoziato con un paese balcanico in concomitanza di un impegnativo centenario e per giunta a Dresda, dove si è svolto il vertice G7 dei ministri finanziari, che più di ogni altra città tedesca evoca paurose memorie di distruzione.

Eppure questa tarda primavera, che sembra preparare un’estate prematura per l’Europa, riserva di questi scherzi che i cacciatori di presagi come me annotano nel taccuino, convinti che aiutino assai più del birignao tecnico a capire quale possa essere l’esito del gran vociare che si spreca per novellare e commentare e minacciare il disastro greco.

Ma l’unica cosa che mi torna in mente, una volta che si abbassi la marea ridicola delle chiacchiere, sono le parole che ormai più di un anno fa disse il governatore della Bundesbank Jens Weidmann discutendo di alcune questioni sistemiche dell’eurozona: il legame fra debito sovrano e banche, il bail-in, il trattamento preferenziale accordato ai bond sovrani. Tutte cose che, come ci raccontano le cronache, sono nel frattempo diventate una realtà. Tranne una: il default di uno stato dell’Unione.

Sempre Weidmann ne accennò in un’altra sua lunga allocuzione dove fece capire con teutonica franchezza che il principio di responsabilità non avrebbe potuto operare all’interno dell’eurozona finché non sarebbe stato possibile per l’unione monetaria “digerire” il default di uno dei suoi stati.

Sicché il negoziato di Dresda, con il Fmi, la Bce, i ministri finanziari, e la Grecia mi appare come uno snodo storico, e non potrebbe essere diversamente stante l’abbondanza di coincidenze, per capire se l’eurozona sia destinata a una palingenesi o a una qualche forma di estinzione.

Il punto dirimente, sul quale sono ragionevolmente certo molti si stiano arrovellando, è in che misura un default del debito greco, ormai in gran parte in pancia ad istituti internazionali, debba coincidere con un’uscita della Grecia dall’eurozona.

Il punto non è semplicemente semantico, in un mondo peraltro (quello finanziario) che sulla semantica basa la sua sopravvivenza. Mandare in default il debito greco e tenere la Grecia nell’eurozona significherebbe in pratica aver la botte piena e la moglie ubriaca. Così come è stato il caso Cipro a far digerire il bail in bancario alle società europee, il default greco sarebbe il modo più eclatante per far capire ai paesi europei che l’indisciplina, alla lunga, non paga. Bruxelles, politicamente, diventerebbe un gigante.

Da questa elementare conclusione deduco che qualcuno ci stia pensando, e anche piuttosto seriamente. E scorrendo l’ultima relazione di Bankitalia ho trovato un’informazione che in qualche modo sostiene la possibilità che tale scenario si possa concretizzare.

In particolare mi riferisco alla tabella che riepiloga il sostegno finanziario che l’Europa ha concesso ai paesi in difficoltà, dove leggo che fa il 2010 e il maggio 2015, la Grecia ha ottenuto 215,7 miliardi di euro, il 120% del Pil 2014.

Questi ultimi, leggo in piccolo in una nota, sono al netto “della restituzione all’EFSF, a febbraio 2015, di fondi stanziati e non utilizzati (10,9 miliardi)”. Con la precisazione che “tali risorse potranno essere utilizzate dalla Grecia fino al completamento del programma per interventi a supporto del sistema bancario, su richiesta della BCE o del Meccanismo di vigilanza unico”.

Converrete che è quantomeno curioso che la Grecia abbia restituito prestiti per oltre dieci miliardi al fondo EFSF appena tre mesi fa. Peraltro a febbraio il nuovo governo era già stato eletto. Quindi è lo stesso governo che oggi tratta che ha preso la decisione di rinunciare a questi fondi.

Ma il punto non è nemmeno questo. Il punto è che, come abbiamo visto, tali risorse possono essere restituite alla Grecia su richiesta della BCE o del Meccanismo di vigilanza unico, quindi sempre della BCE.

Ora proviamo a immaginare cosa succederebbe se il prossimo 5 giugno, quando dovrebbe andare in pagamento la tranche di restituzione al FMI di un prestito, la Grecia non pagasse. Il default di solito non scatta automaticamente, perché le prassi prevedono un mese cosiddetto di grazia. Però il segnale ai mercati sarebbe chiarissimo: il default sarebbe di fatto se non di diritto.

La prima conseguenza potrebbe essere che la Grecia verrebbe tagliata fuori dal mercato dei prestiti a breve, gli unici che si può permettere. In questo caso le banche finirebbero sotto pressione e il governo, dovendo pagare stipendi e pensioni, di conseguenza.

A quel punto potrebbe intervenire la Bce, che con i suoi ELA, ossia i prestiti di liquidità concessi per il tramite della banca centrale greca e sotto notevoli condizionalità, tiene in piedi le banche greche. La Bce potrebbe fare due cose: revocare l’ELA, e quindi dar decorso alla tragedia greca, oppure riattivare i fondi EFSF sotto precise ulteriori condizionalità per dare ossigeno alle banche elleniche.

In quest’ultimo caso al bastone del default, paventato ma non conclamato, seguirebbe la carota dei prestiti.

La perfetta quadratura del cerchio.

Il default greco come palingenesi dell’eurozona

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