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Negli ultimi mesi l’Anas, la società per azioni di proprietà del Tesoro che gestisce la rete stradale e autostradale non a pedaggio di 25 mila km, e riveste un ruolo centrale nell’infrastrutturazione del sistema Paese, è finita nell’occhio del ciclone per una serie di eventi che vanno dal crollo della rampa di accesso al viadotto Scorciavacche in Sicilia, ad alcune intercettazioni (peraltro prive di riscontro) dell’inchiesta Sistema sulle grandi opere, fino al cedimento di un pilone dell’autostrada Palermo-Catania, a seguito di una rovinosa frana della collina sovrastante.

È davvero tutta colpa del presidente dimissionario Pietro Ciucci? Questi eventi negativi dipendono essenzialmente da due fattori esterni.

Innanzitutto i limiti della Legge Obiettivo e in particolare della figura del contraente generale, al quale spetta di nominare la struttura di direzione lavori delle opere infrastrutturali di cui si è aggiudicato l’appalto. Un meccanismo deresponsabilizzante che, come attestano il caso del viadotto Scorciavacche e la stessa inchiesta Sistema, ha manifestato varie crepe e richiede una rapida riforma, riaffidando alla stazione appaltante (in questo caso l’Anas) la direzione dei lavori.

Non a caso la stessa Anas già dal 2009 non bandisce più gare a contraente generale e Ciucci ha chiesto e proposto in svariate occasioni, anche davanti alle commissioni parlamentari, di modificare la norma. L’altro fattore esterno è il deficit manutentivo di cui soffre da alcuni decenni il territorio italiano e la rete stradale (non solo Anas), a causa della scarsità di risorse destinate dai vari governi da un lato alla prevenzione del dissesto idrogeologico e dall’altro agli interventi di manutenzione straordinaria delle opere stradali. Un deficit di interventi che è la prima causa dei crolli che si sono registrati in questi anni, da nord a sud, dal ponte sul Po a Piacenza al viadotto Himera della Palermo-Catania.

Se si tiene conto che sulla sola rete Anas vi sono 11 mila viadotti e oltre 2 mila gallerie, realizzati nella maggior parte dei casi 40-50 anni fa, si comprende come questa sia una priorità assoluta. Gli ultimi due governi, anche grazie alla sensibilità dell’ex ministro Maurizio Lupi, hanno finalmente “cambiato verso” all’andazzo precedente, stanziando 1 miliardo di euro per la manutenzione della rete Anas che sono stati trasformati in circa 600-700 cantieri, in parte già ultimati. Ma molto resta ancora da fare e da finanziare, perché il ritardo è pluridecennale.

Questi due fattori endogeni rischiano di oscurare gli indubbi meriti, riconosciuti ad esempio dall’editoriale di Giorgio Santilli sul Sole 24 Ore, della gestione di Pietro Ciucci, che guida la società dal luglio 2006 e che ha già rassegnato le dimissioni nelle mani del neo ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio a partire dalla prossima assemblea degli azionisti di metà maggio.

In circa 9 anni Ciucci, come attestato anche dai dati Cresme, ha trasformato l’Anas nella prima stazione appaltante d’Italia, con più di 5500 bandi per un importo di 23 miliardi di euro. Dal 2006 l’Anas ha aperto al traffico 1.500 km di strade e autostrade (tra cui 250 km della Salerno-Reggio Calabria), con un investimento di 16 miliardi di euro.

Il vecchio carrozzone dell’ente pubblico economico è diventato una moderna Spa, con un’organizzazione efficiente, un bilancio da otto anni in attivo (prima chiudeva con perdite di circa 500 milioni all’anno) e una capacità di investimenti di oltre 2 miliardi all’anno.

Risultati niente affatto disprezzabili che richiederebbero, almeno, un’uscita con l’onore delle armi per Ciucci.

Le ragioni dell'Anas e quelle di Ciucci

Negli ultimi mesi l’Anas, la società per azioni di proprietà del Tesoro che gestisce la rete stradale e autostradale non a pedaggio di 25 mila km, e riveste un ruolo centrale nell’infrastrutturazione del sistema Paese, è finita nell’occhio del ciclone per una serie di eventi che vanno dal crollo della rampa di accesso al viadotto Scorciavacche in Sicilia, ad alcune…

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