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Dall’Aquila la partita doppia, con scenari contrapposti su più fronti, delle elezioni regionali abruzzesi si é già spostata a Roma. Certificato dalla matematica, il panorama dei risultati delinea 5 Stelle cadenti, l’eclisse del campo largo, la rimozione sarda e il nuovo sprint di fiducia per Fratelli d’Italia, il notevole exploit del Pd e le doppie coliche della Lega ai minimi termini di voti e quasi doppiata da Forza Italia.

Oltre alla netta affermazione del presidente uscente Marco Marsilio, di FdI, che distanzia con circa il 54% il candidato unitario dell’opposizione, Luciano D’Amico, fermatosi attorno a poco più del 46%, la scenografia politica del voto dell’Abruzzo concretizza il successo personale e la stabilizzazione politica per le leadership della premier Giorgia Meloni e della segretaria del Pd Elly Schlein, le probabili ricadute per la pesante sconfitta senza attenuanti dei 5 Stelle di Giuseppe Conte e dell’ennesima inarrestabile caduta libera della Lega in modalità Salvini.

Questi gli scenari sanciti dai risultati dei singoli per partiti.

Fratelli d’Italia: è il primo partito con il 24,23%. Nel 2019 ebbe il 6,5%, alle politiche del 2022 il 27,9%.
Partito Democratico: ottiene un lusinghiero 20,48%. Nel 2019 ebbe l’11,1%, nel 2022 il 16,6%.
Forza Italia: raggiunge il 13,28%. Nel 2019 ebbe il 9%, nel 2022 l’11,1%.
Lega in caduta libera: il partito di Salvini ottiene il 7,56%. Nel 2019 ebbe il 27,5%, nel 2022 l’8,1%.
Movimento 5 Stelle: crollo verticale per il partito di Conte che si ferma al 7%. Nel 2019, correndo in solitaria, ebbe il 19,7%. Nel 2022 il 18,5%.
Azione: ha il 3,79%. Nel 2022 con Italia viva ebbe il 6,3%.
Alleanza Verdi e Sinistra: ottiene il 3,6%. Nel 2019 Leu ebbe il 2,8%. Nel 2022 Avs ebbe il 2,7%.
Noi moderati: ha 2,89% dei voti. Nel 2022 ebbe lo 0,7%.
Udc: ha l’1,2%. Nel 2019 ebbe il 2,9%.

La radiografia del voto abruzzese evidenzia in particolare il ruolo di catalizzatore che Fratelli d’Italia e Pd hanno avuto da una parte per i voti della Lega e dall’altra parte per i consensi dei 5 Stelle e della sinistra. Visto in prospettiva il campo largo non decolla affatto perché come già in Sardegna, il partito di Conte è riuscito a perdere più voti di quanto ne prevedessero i sondaggi. Il tutto con vista ed impatto diretto sulle elezioni europee di giugno. “Porto la terra d’Abruzzi, porto il limo della mia foce alle suole delle mie scarpe, al tacco de’ miei stivali” scriveva il pescarese Gabriele D’Annunzio.

Più articolata l’analisi a tutto campo sul chi vince e chi perde dei leader. Perdono, anzi straperdono è proprio il caso di dire, Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Vincono Giorgia Meloni, Elly Schlein e Antonio Tajani all’esordio elettorale da segretario di Forza Italia erede di Berlusconi. Pareggia Carlo Calenda.

Matteo Salvini: dialetticamente incontenibile, il segretario della Lega viene sistematicamente smentito dai fatti. Dall’estate del Papete del 2019 non azzecca più una mossa. Nel lungo elenco delle sconfitte e dei pesci in faccia rimediati in questi anni da Milano a Roma a Napoli, alla Polonia, all’Ucraina all’affaire del viaggio a Mosca, al Ponte di Messina, la débâcle non solo numerica ma anche mediatica delle regionali prima sarde e ora anche abruzzesi lascia però strascichi profondi che potrebbero ridimensionarlo già prima delle elezioni europee. Ancora non si capisce se dovrà affrontare un congresso anticipato o un vertice di partito in stile politbüro russo, come quello storico che defenestrò Kruscev. Secondo gli ambienti parlamentari, per evitare un eventuale colpo di testa che potrebbe culminare nella creazione di un partito personale, Matteo Salvini potrebbe essere commissariato da uno specifico ufficio di segreteria formato dai presidenti di regione Fedriga, Zaia e Fontana.

Giuseppe Conte: anche se l’ex premier sta dando fondo a tutta la sua capacità di acrobazie verbali, da qualunque parte lo si osservi, il risultato dei 5 Stelle è classificabile fra il disastroso e il fallimentare. Elettoralmente, l’encefalogramma politico del Movimento è piatto. E con queste percentuali alle europee non si va da nessuna parte. L’ultima speranza dei 5 Stelle e di Giuseppe Conte per non disperdere i residui consensi è quella di liste comuni col Pd. A 13 anni dalla fondazione da parte di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio del Movimento che doveva scardinare le istituzioni come una scatoletta di tonno, l’epilogo rammenta quello delle riserve indiane. Ma senza l’orgoglio e il prestigio dei capi tribù. Oltre a non lasciare tracce, l’evaporazione dei grillini è quasi sempre imputabile infatti alla pervasività del potere e della corsa ai posti di sottogoverno, dalla Rai alle aziende di Stato.

Giorgia Meloni: oltre all’indubbia abilità e al grande fiuto politico, la leader di Fratelli d’Italia ha avuto la strada spianata dai continui autogol tanto di Matteo Salvini che di Giuseppe Conte. Lungo la rotta delle Europee e dell’azione di governo le restano tuttavia da rimuovere alcuni errori di percorso, come la carenza di classe dirigente, le scorie del populismo antieuropeo e la scelta di candidati di indiscusso valore per Bruxelles e per le delicate nomine istituzionali. Il ridimensionamento e l’inevitabile uscita di scena di Salvini offre alla Premier la grande chance di una svolta politica centrista che inglobi destra e moderati, liberali e l’anima cattolica della Dc che non si riconosce più nel Pd.

Elly Schlein: la segretaria del Pd ha conquistato sul campo delle regionali sarde ed abruzzesi una preziosa e non scontata golden share politica: quella del centrosinistra. Se alle europee riuscirà a calamitare ulteriormente in voti dell’ex area dei 5 Stelle e a bypassare l’autunno, che a causa della guerra in Ucraina e degli sviluppi in Medio Oriente e sul Mar Rosso e della conseguente crisi economica sociale sarà particolarmente impegnativo, potrà permettersi di sbaragliare definitivamente le agguerrite correnti interne del Nazareno e indirizzare il Pd lungo la rotta politica che le é connaturale: quella del partito delle nuove generazioni digitali ed ecologiche, dei diritti e delle libertà fondamentali. Non in una democrazia apparente ma in una democrazia compiuta.

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