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L’alternativa alla chiusura del Cocoricò? “Aspettare il prossimo morto e poi accusare il destino cinico e baro perché certe cose succedono”.

Non ha dubbi Marco Cobianchi, giornalista economico di Panorama, sulla bontà della scelta del questore di Rimini, Maurizio Improta. Lo stop per 4 mesi imposto alla nota discoteca di Riccione è cosa buona e giusta. “D’altronde – aggiunge – l’articolo 100 del Tulps parla chiaro”. E su quella pista da ballo alcune settimane fa ha perso la vita un 16enne, ucciso da qualche grammo di ecstasy sciolta nell’acqua.

Di origini romagnole e cresciuto professionalmente proprio a Rimini, Cobianchi osserva questa tragica vicenda con l’occhio del cronista che conosce molto bene la Riviera riminese, spiegando il suo punto di vista a Formiche.net.

LA RESPONSABILITA’ OGGETTIVA DEL TITOLARE

“Premettiamo una cosa: è stupido pensare che chiudendo il Cocoricò si possa mettere fine allo spaccio nelle discoteche, non è questo il punto”, commenta Cobianchi. Peccato che in molti sostengano tale tesi aggiungendo un pizzico di benaltrismo: “Non è certo così che si combatte lo sballo, i giovani andranno a drogarsi da altre parti”.
“Il punto attorno a cui ruota la questione – ragiona il giornalista – è che il proprietario o gestore di un locale, e non sto parlando in modo specifico del Cocoricò, conosce tutto ciò che succede dentro a quelle quattro mura: sa chi ci entra, che cosa si fa all’interno, se si spaccia o meno. Sa, letteralmente, tutto”. Quindi, “se fa entrare persone che lui sa che possono violare la legge dentro alla sua discoteca, diviene inevitabilmente corresponsabile di quanto vi accade. E’ evidente”. Altrimenti? “Altrimenti, se pensiamo che il titolare di un locale dove muore un ragazzo per droga non abbia alcuna responsabilità, significa che dobbiamo essere contrari anche alla chiusura di un ristorante divenuto luogo di ritrovo di noti mafiosi perché ‘non è così che si combatte la mafia’. Idiozie”. Un gestore può anche essere incensurato, ma se nel suo esercizio pubblico si riuniscono dei criminali o vengono commessi dei reati, lui ha una responsabilità oggettiva, risponde di quel che accade all’interno”.

CON LA CHIUSURA QUALCOSA CAMBIA

Una delle obiezioni che più vengono mosse contro la scelta del questore di Rimini suona più o meno così: “Sì vabbe’, ma in questo modo non cambia niente”. “Falso: – puntualizza Cobianchi -, una decisione drastica come uno stop di 4 mesi favorisce un cambio di atteggiamento da parte di altri gestori che, spaventati da conseguenze così dure, magari decidono di controllare di più e meglio assumendo più buttafuori che, nel locale, tengano gli occhi aperti e caccino chi è sorpreso a spacciare. E chi dice che il buttafuori non lo può fare, beh… non ha mai avuto a che fare con un buttafuori”.

Cobianchi ricorda poi quando “da ragazzo suonavo nei locali della Riviera romagnola”; ebbene, “i gestori conoscevano tutto di cosa succedeva all’interno delle loro sale da ballo, me ne ricordo uno che quando vedeva dei ragazzi all’apparenza troppo giovani gli andava a chiedere la carta di identità e se risultavano troppo piccoli li faceva uscire e se non l’avevano li faceva uscire lo stesso. Oggi sarebbero definiti bacchettoni invocando la libertà e denunciando il moralismo dello Stato. Credo che chi sostiene queste tesi abbia un problema culturale con la nozione di libertà che deve risolvere al più presto”.

LA DROGA COME LEVA DI MARKETING

C’è poi chi precisa: “Ma è allo Stato che tocca controllare”. “Vero, ma a parte il fatto che chiudere un locale è uno dei modi attraverso i quali lo Stato controlla – rilancia Cobianchi – non si può permettere che la droga venga utilizzata come leva di marketing. Perché, non nascondiamoci, un ragazzo che vuole drogarsi durante una notte in discoteca, va dove sa che potrà trovare con grande facilità tutto quel che gli serve per sballarsi. Sceglie una discoteca dove è noto che giri cocaina o ecstasy piuttosto che un’altra dove tutti sanno che non si trova nulla o quasi. Così la droga diventa marketing”.

E I POSTI DI LAVORO?

Al Cocoricò di Riccione, hanno spiegato gli attuali gestori, lavorano circa 200 persone. Senza considerare l’indotto del territorio. Come in altre situazioni, è così venuta a galla la dicotomia tra salvaguardia della salute e dell’occupazione. “L’alternativa alla chiusura è lasciare aperta la discoteca aspettando il prossimo morto – taglia corto Cobianchi -. Non possiamo assuefarci all’idea che la droga all’interno delle discoteche sia un danno collaterale. Non ci deve essere, punto e basta. Se il Cocoricò non va punito per via dei suoi 200 lavoratori, allora dobbiamo tenere aperte tutte le aziende controllate dai mafiosi per non gravare sull’occupazione? Ma che razza di ragionamento è?”.

Perché non critico la chiusura del Cocoricò di Riccione

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