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Giovedì il dipartimento di Stato americano ha pubblicato il protocollo di adesione della Svezia alla Nato, “entrato in vigore il 7 marzo 2024”, si legge sullo stesso documento. Il Paese scandinavo è dunque il trentaduesimo membro dell’alleanza. Secondo il Trattato Nord Atlantico, infatti, l’adesione è effettiva una volta che tutti i documenti di ratifica vengono inoltrati al governo americano. La cerimonia dell’innalzamento della bandiera svedese presso la sede della Nato a Bruxelles si terrà lunedì 11 marzo.

La Svezia non è l’unico Paese ad avere aderito alla Nato sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina: il 4 aprile scorso era toccato alla Finlandia. I due percorsi sembravano paralleli ma quello svedese è stato ritardato dagli indugi di Turchia e Ungheria. Ora la Svezia potrebbe diventare un hub logistico per la Nato in caso di conflitto con la Russia, come ha spiegato il Financial Times. Non avendo confini condivisi con la Russia, il suo ruolo nei piani dell’alleanza, in caso di conflitto, potrebbe differire da quello degli Stati che invece dividono la frontiera con il Paese guidato da Vladimir Putin. La Svezia fungerebbe non soltanto da hub logistico, ma anche da via diretta per la consegna di rinforzi alla Finlandia e ai Paesi baltici, hanno detto alcuni funzionari citati dal quotidiano.

Sono note le minacce delle autorità russe, amplificate dai media di Stato, a Finlandia e Svezia per l’adesione alla Nato, e alla stessa alleanza. Ma come si sono comportati i media della Repubblica popolare cinese, il cui leader Xi Jinping ha firmato con Putin un patto di amicizia “senza limiti” (qualcuno, però, c’è) pochi giorni prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina?

Risponde un rapporto del Centro di eccellenza Nato per le comunicazioni strategiche (Stratcom Coe), con sede a Riga, in Lettonia. “Sebbene sia la Russia che la Cina condividano l’apprensione per la Nato, le loro diverse strategie geopolitiche e le relazioni bilaterali con i Paesi europei influenzano il modo in cui modellano e diffondono le narrazioni”, si legge. “Questa complessità evidenzia l’importanza di comprendere chiaramente i modi in cui i media controllati dallo Stato sviluppano e diffondono le loro narrazioni”, conclude il documento.

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