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Se collegate ad una dura polemica svoltasi nei mesi scorsi fra la presidente della Camera Laura Boldrini e i fedelissimi di Matteo Renzi sulla realtà o sul rischio, avvertito al vertice di Montecitorio, di “un uomo solo al comando”, le parole pronunciate su questo tema dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nell’incontro con i giornalisti parlamentari per la consegna del tradizionale ventaglio, si potevano prestare ad una lettura maliziosa.

Qualcuno cioè, ancora una volta indulgendo più al retroscena che alla scena, avrebbe potuto vedere, e ha visto, nell’assicurazione del capo dello Stato che le nostre regole costituzionali impediscono il fenomeno, appunto, dell’uomo solo al comando, un velato richiamo al presidente del Consiglio, analogo alla protesta di Laura Boldrini.

Ed è tornata alla mente la vecchia regola, già evocata nel momento della successione di Mattarella a Giorgio Napolitano, del Quirinale destinato a sorprendere prima o dopo i propositi o le speranze di condizionarlo. Questa volta tutto sarebbe accaduto più prima che dopo, con un Renzi richiamato alla prudenza, per quanto grande patrocinatore dell’elezione del nuovo capo dello Stato. Un richiamo peraltro preceduto da interventi che non sono passati inosservati contro il facile ricorso ai decreti legge tentato dal presidente del Consiglio anche per via delle abitudini dei suoi predecessori.

Ma è bastata una verifica tanto rapida quanto discreta negli ambienti che hanno maggiore dimestichezza con Mattarella, che pure gestisce con molta parsimonia i suoi rapporti personali, chiuso in una corazza sbeffeggiata simpaticamente da Maurizio Crozza, per capire che questa volta, almeno, la scena merita di prevalere sul retroscena. E la scena è quella di un capo dello Stato che, pur tanto diverso per carattere e stile dal presidente del Consiglio, ha voluto difenderne il ruolo dalle critiche della Boldrini, piuttosto che condividerle o avallarle. D’altronde, nello stesso giorno della consegna del ventaglio al Quirinale, e nonostante i promessi soccorsi dell’ormai ex forzista Denis Verdini, si è avuta al Senato la conferma della vulnerabilità politica di Renzi con la bocciatura dell’articolo della riforma della Rai per una nuova disciplina del canone.

Il passaggio del ragionamento di Mattarella che più si presta a favore del presidente del Consiglio è quello in cui il capo dello Stato ha riconosciuto, forse con troppa generosità, a tutti i giocatori nel campo della politica il merito di essere stati corretti. E di non avergli dato motivi di delusione o di lamentela, per quanto non siano mancate “turbolenze” nei rapporti fra i partiti. Tutti i giocatori, compreso quindi Renzi, nei riguardi della cui facilità a ricorrere ai voti di fiducia per portare avanti le sue riforme, com’è avvenuto, per esempio, con la nuova legge elettorale, Mattarella ha voluto conservare per sé le “opinioni personali”, temendo di interferire illegittimamente nelle scelte governative e parlamentari.

Per sé Mattarella ha voluto tenere anche le opinioni sul merito delle riforme più controverse o in pericolo, come quella istituzionale del Senato, che egli ha anzi auspicato di vedere arrivare finalmente all’approvazione per chiudere “decenni” di inconcludenza, dando così un indubbio assist al presidente del Consiglio. Un assist non a caso rilanciato addirittura come editoriale dall’Unità risorta in versione renziana e analogo a quello fornito a Renzi da un recente intervento del presidente “emerito” della Repubblica Giorgio Napolitano, pronunciato a sorpresa davanti alla competente commissione del Senato per sollecitare l’approvazione della riforma istituzionale, fra le proteste mediatiche e politiche di quanti non gli perdonano la forte influenza esercitata sui partiti e sulle Camere durante i suoi mandati sul Colle più alto di Roma.

Che cosa pensa davvero Mattarella di Renzi e delle riforme renziane

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