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Chi entra nel sito del Cnel (www.cnel.it) e clicca “Archivio Nazionale dei Contratti” ha la non lieta sorpresa di constatare che i contratti nazionali di lavoro del settore privato sono la bellezza di 675 e alla fine del mese di marzo, quando uscirà il dato trimestrale aggiornato, il numero sforerà quota 720! Numeri impressionanti che derivano dalla legge che obbliga il Cnel a registrare qualunque contratto da chiunque sottoscritto: ineccepibile dal punto di vista democratico; distorsivo da quello statistico e non solo. Già perché basta costituirsi in un’associazione d’imprenditori e/o d’azienda o nel sindacato “Pippo Pluto e Paperino”, avere uno statuto a tenuta democratica e ci si trova proiettati nel magico mondo della contrattazione.

Quanto sopra è un evidente caso di eccesso di legiferazione su materie che riguardano, indirettamente, le cosiddette relazioni sindacali che, si perdoni il gioco di parole, nel “privato” devono essere considerate un fatto privato. Sub lege libertas, ma occhio al troppo legiferare su certe materie, percui serve una soluzione certa ed esigibile, meglio ancora se frutto di un accordo tra le parti sociali. Proprio qualche giorno fa sindacati e Confindustria hanno firmato con l’Inps, un protocollo sulla certificazione degli iscritti, primo passo per arrivare a determinare la rappresentatività aziendale e contrattuale. Un protocollo che deriva, appunto, da un accordo tra le parti e che sarebbe auspicabile estendere a tutte le associazioni e sindacati di categoria dei vari settori di mercato. Questo anche per evitare che Governo e Parlamento, cominciano a baloccarsi su materie di loro dubbia pertinenza e che francamente poco riguardano il rilancio del sistema-paese (la certificazione della rappresentanza?!).

La sostanza dell’intesa tra sindacati e Confindustria, libere associazioni tra privati, consiste nel darsi reciproca riconoscenza e affidabilità tra attori della stessa “compagnia” (si perdoni l’accostamento teatrale) elemento essenziale perché tutti funzioni al meglio possibile. Dunque è essenziale che le associazione rappresentative di capitale e lavoro sottoscrivano intese e protocolli da traspondere nei contratti nazionali e che si certifichi il numero degli iscritti di ogni singola associazione. Però non tutte le imprese si riconoscono nell’attuale sistema associativo, infatti ci sono stati clamorosi casi di distinguo: non solo Fiat nei confronti di Confindustria, ma anche Federdistribuzione – i grandi supermercati – nei confronti di Confcommercio; poi c’è l’anacronistico associazionismo derivante da vecchi equilibri politici ormai superati. Il sistema di rappresentanza d’impresa probabilmente ha bisogno di un restyling.

E poi ci sono le associazioni dei lavoratori. Nel settore privato chi decide d’iscriversi ad un sindacato deve sottoscrivere una delega e depositarla in azienda che provvede alla trattenuta mensile, oppure può decidere di pagare brevi manu al sindacato prescelto (qualcuno lo fa per paura di “rappresaglie dei padroni”, chi scrive è stato licenziato per questo..ma eravamo nel 1975!). Forse il modo migliore per certificare e pesare l’associazionismo è la costituzione di enti bilaterali sul modello “Cassa Edile”, cioè un ente mutualistico di derivazione contrattuale, dunque privato, dove, attualmente, convergono e si redistribuiscono gli oneri contrattuali ( tredicesima, ferie, tfr ecc) e che potrebbe funzionare da certificatore d’iscritti.

E si torna alla questione derimente: ci devono pensare Governo e Parlamento o è meglio un intesa tra le parti? Propendo per la seconda che ha l’indubbio vantaggio di mettere al confronto i diretti interessati alla materia e poi c’è il vincolo, e non è poco, della sottoscrizione di accordi e contratti.

Se 720 contratti nazionali vi sembrano pochi

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