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Non ci sono solo le rivendicazioni di un anno di governo e l’annuncio sul da farsi nel 2024 nelle parole di Giorgia Meloni su palco di Atreju, ma anche un altro elemento che abbraccia i destini italiani in politica estera in un momento in cui ciò che accade fuori dai confini nazionali è parimenti importante alle beghe interne.

Ed è la dimensione internazionale dell’Italia, su come si espande in settori cardine della modernità, dalle guerre all’intelligenza artificiale, dalle relazioni diplomatiche e commerciali alle strategie su problemi concreti come le migrazioni e l’approvvigionamento energetico. In questo terreno, per la verità già arato in 14 mesi a Palazzo Chigi, il presidente del consiglio si mostra molto più a suo agio rispetto alle aspettative mediatiche di un anno e mezzo fa. E lo dimostra sia con un ragionamento di prospettiva, sia con l’interlocuzione personale con un parterre che ha visto a Roma Elon Musk, Rishi Sunak, Santiago Abascal ed Edi Rama.

Non sfugge che i quattro ospiti stranieri abbiano portato altrettanti temi, peculiari e al contempo strategici, per i destini italiani. Musk non significa solo tecnologia e IA, ma la presenza di un magnate mondiale che parla con l’Italia e con il suo premier di figli e spazio, ovvero di futuro.

Il Regno Unito e l’Italia condividono un denso paniere di azioni: il progetto Gcap per la superiorità aerea di ultima generazione, la condivisione di linea politica e militare sull’Ucraina, il procedere in tandem (e con accorta verve diplomatica) sulla Cina, le azioni in Medio Oriente dove, oltre la ferma condanna al terrorismo di Hamas, vanno preservate le storiche relazioni con il mondo arabo. E il premier inglese ha sposato in toto la linea del voler interrompere il modello di business delle gang criminali.

Lo ribadisce inoltre Meloni quando tocca apertamente il tema della presunta stanchezza negli aiuti a Kyiv: “So che molti italiani pensano che quella guerra sia distante da noi e non capiscano l’impegno italiano però alla fine è molto più semplice di quanto sembri: l’Italia ha tutto da perdere in un mondo in cui la forza del diritto viene sostituita dal diritto del più forte. In Ucraina è in gioco il nostro interesse nazionale come quello di tutti i liberi popoli europei: quello che stiamo facendo non è altro che creare le condizioni per raggiungere una pace giusta e più duratura”.

Da qui il gancio per riflettere di Europa: una certa chiarezza priva di condizionamenti, orgogliosa, libera e consapevole è quella cosa che ha “restituito la nostra credibilità internazionale”, un posizionamento netto su guerre e sofferenze (“ci siamo schierati al fianco di Israele vigliaccamente aggredito dai terroristi di Hamas e chiediamo a Israele di difendersi in linea con il diritto internazionale, preservando la popolazione civile), sommata all’intenzione dinanzi alla platea internazionale di mantenere la parola data. Santiago Abascal ed Edi Rama significano, rispettivamente, la famiglia politica da “rafforzare e renderla più protagonista dell’Europa che verrà” e il pragmatismo dinanzi a problemi epocali che porta a soluzioni di partnership.

Ed è da questa rete di relazioni, visioni, idee e spunti comuni che si coglie la spinta internazionale del discorso meloniano: “Anche l’Italia, quando ci è stato chiesto di guidarla, era considerata da molti una nazione con poche speranze e allora la nostra più grande impresa sarà portare lei l’Italia sul gradino più alto del podio”.

Per cui da Atreju è partito, quest’anno più di tutti gli altri, un messaggio non solo nostrano di visione e valori, ma prevalentemente ampio e che tocca pedissequamente gli interessi nazionali dell’Italia nei cinque continenti. Un manifesto di politica estera.

@FDepalo

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