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Oggi molti quotidiani titolano: “Scandalo coop rosse, spunta il nome di D’Alema e del clan dei casalesi”. Il dado è tratto. Il pubblico ministero di Napoli, Henry John Woodcock, ha colpito ancora. Come scrive il Foglio, lavora certamente per la giustizia, ma spesso anche per i giornali e la televisione. Ha indagato e mandato in galera centinaia di nomi famosi, poi regolarmente prosciolti.

Non so se il pm anglo-partenopeo conosce il filosofo di Röcken, ma le sue inchieste spesso sembrano tarate su un celebre detto di Nietzsche: “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni (“Al di là del bene e del male”, aforisma 22). Come osserva Franca Agostini in un esemplare trattatello sulla “Menzogna” (Bollati Boringhieri, 2012), esso a volte viene tradotto nel più ragionevole “non esistono fatti senza interpretazioni”.

Ma certo è che nello scarto tra il fatto e l’interpretazione si può sempre annidare l’opera del falsificatore, il quale agisce non soltanto alterando le prove, ma anche manipolando e confondendo l’uso delle prove stesse. Non basta: false tracce possono essere costruite per avallare interpretazioni che veicolano il falso.

Proprio da qui – sottolinea la docente di epistemologia – ha origine la “premenzogna”: una versione dei fatti sviante e erronea, che se ripetuta con ostinazione diventa “canone, realtà di riferimento, e di lì in avanti orienta il lavoro tanto degli onesti, quanto di qualunque mentitore accanito”.

È un contesto ambientale che può indurre qualche magistrato – indipendentemente dalla sua buona fede – a cedere alle seduzioni di una visione distorta delle cose, magari perché la si considera aderente agli umori di una parte dell’opinione pubblica contro la “casta”. Quando ciò accade, io posso concedermi il lusso dell’indignazione. L’imputato (o il mostro sbattuto in prima pagina, pur non indagato perché non indagabile), invece, soltanto l’amarezza del sopruso.

Coop rosse, vini rossi e D'Alema. Riecco Henry John Woodcock

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