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“Sta diventando più aggressiva, sta diventando più audace e sta diventando più pericolosa”, dice l’ammiraglio John “Lung” Aquilino a proposito della Cina, e poi aggiunge: Pechino sta perseguendo una strategia “boiling frog”, aumentando le tensioni nella regione con un’attività militare sempre più pericolosa. Le parole del capo del comando Indo Pacifico del Pentagono sono ancora più interessanti se si considera che Aquilino sta passando il testimone al parigrado Samuel Paparo (detto “Pappy”). E dunque, la metafora della rana bollente diventa un’eredità analitica — che l’ammiraglio veicola affidandola a un’intervista di farewell con il Financial Times.

La strategia cinese di aumentare gradualmente la temperatura (delle tensioni) in modo che il pericolo finale sia sottovalutato fino a quando non è troppo tardi, è una previsione tetra. “Ci deve essere una descrizione continua del cattivo comportamento della Cina, che è al di fuori delle norme internazionali legali. E questa storia deve essere raccontata da tutte le nazioni della regione”, ha detto Aquilino. Tradotto: allentando la presa, si rischia di finire coinvolti in una guerra senza nemmeno rendersene conto.

Le valutazioni – che arrivano dal comandante che segue più da vicino le dinamiche cinesi nel bacino più sensibile alla sua proiezione geopolitica – non stridono con la visita di Antony Blinken a Pechino. L’attuale fase di dialogo tra Washington e Pechino è fatta di paletti e condizionalità, linee rosse e tentativi di costruire spazi di cooperazione – i cinesi dicono che gli americani devono scegliere tra “cooperation e confrontation”, ma sanno che il dilemma è impossibile, perché è l’esistenza di entrambe, contemporaneamente che regolerà le relazioni, almeno nel breve termine.

Aquilino parla dimostrando che alla base di queste attività condotte da Washington c’è tale consapevolezza. Sebbene con fine diverso, il senso della situazione lo ha descritto bene Shen Shiwei, giornalista/influencer del Partito/Stato, che dice: “I settori economici cinesi e americani stanno rafforzando i legami, a differenza dei politici di Capitol Hill che pubblicizzano politiche ostili alla Cina”. Shen è impegnato in queste ore nella narrazione (iper positiva) della visita di Elon Musk — arrivato a Pechino poche ore dopo la partenza di Blinken — e vuole dimostrare che la colpa delle tensioni sta nella politica ideologicamente ostile (spesso la Cina usa termini come “maccartismo”), mentre il business scorrerebbe fluido.

Il problema però è che l’enorme sfera economica che Cina e Usa condividono non può più in questo momento essere considerata scevra da quello che descrive Aquilino. Basta pensare che con il premier Li Qiang — che Musk conosce sin dai tempi in cui era leader del Partito a Shanghai — il tech-guru statunitense ha parlato di auto elettriche, anche perché la sua Tesla lavora in Cina e deve fronteggiare le case automobilistiche cinesi aiutate dal governo. Ma la questione delle auto-elettriche è anche geopolitica, con la competizione per i materiali critici che servono a comporre le batterie e i chip per farle muovere, o quella per le cutting edge technology (come l’intelligenza artificiale) per comandarle. Gli stessi sistemi protagonisti della corsa alla modernizzazione militare – che significa capacità di deterrenza e supremazia strategica.

Mentre si prepara a passare il comando alle Hawaii a Paparo, Aquilino ha detto che uno dei suoi migliori messaggi era la necessità di concentrarsi sulla velocità e l’urgenza in termini di capacità operative e di dispiegamento, anche in partnership con gli alleati. Ha detto che questi includevano le “sofisticate reti che collegano sensori e armi”. Ossia l’integrazione in termini di prontezza e capacità difensive, e proiezione offensiva. “La capacità di prevenire questo conflitto richiederà un senso di urgenza e velocità nella consegna delle nostre nuove capacità di modernizzazione [e] delle nostre iniziative posturali”.

La Cina e la rana che bolle. L'analisi di Aquilino, che saluta IndoPaCom

Il capo dell’Indo-Pacific Command del Pentagono, l’ammiraglio Aquilino, lascerà tra poco il suo incarico e in un’intervista con il Financial Times descrive la situazione nella regione riguardo alla Cina, che sta alzando la tensione (fino al rischio di ritrovarsi in guerra senza nemmeno accorgersene). Analisi che non stride con la linea dettata da Blinken a Pechino

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