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Che si tratti d’impedire all’Iran di entrare in possesso di un’arma nucleare, di arginare il terrorismo dello Stato Islamico o di rovesciare il regime del presidente siriano Bashar al-Assad, l’Arabia Saudita è alla ricerca di sostegno politico e militare ai suoi progetti regionali. Piani che il nuovo monarca, re Salman, vuole realizzare attraverso la stabilizzazione del fronte arabo sunnita, diviso sotto alcuni aspetti ma legato da obiettivi comuni.

UNA NUOVA LEADERSHIP

Riyadh è da qualche settimana il centro di un round di colloqui che vede impegnata a tempo pieno la diplomazia saudita. Prima è stato il turno dell’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani (un incontro spiegato qui da Cinzia Bianco, della Nato Defense College Foundation); ieri quello del presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi; oggi, infine, quello del leader turco Recep Tayyip Erdogan. “Con la crescente influenza politica derivante dalla una potenza economica (e dalla sua abile politica sui prezzi del petrolio) – commenta Hemin Lihony sul curdo Rudaw, l’Arabia Saudita è diventata un attore importante tra le nazioni arabe, scalzando l’Egitto dalla sua posizione di leadership, messa in discussione dopo le ondate di agitazione nazionale“.

I PIANI SAUDITI

Per il giornalista, l’ostacolo principale a una riunificazione dei sunniti è in questo momento proprio la riconciliazione tra Il Cairo e Ankara. Erdogan continua a non riconoscere il governo del suo omologo egiziano, che sarebbe giunto al potere a spese dei Fratelli Musulmani. Ma le nuove sfide a cui è sottoposto il Medio Oriente potrebbero fare da collante (e ottenere anche la collaborazione sotterranea di Israele). Da un lato c’è il desiderio di disintegrare lo Stato Islamico, che prende piede in Irak e Siria. Dall’altro c’è la volontà condivisa di accelerare la caduta del regime di Assad, sostenuto da Teheran. La fine politica del dittatore siriano viene considerato l’unico modo per indebolire il potere crescente dell’Iran sciita, che ha storicamente contestato influenza saudita nella regione del Golfo e che si muove a grandi passi verso la chiusura di un accordo sul suo nucleare che potrebbe ridargli legittimità internazionale e slancio economico. Solo un accordo tra Arabia Saudita, Egitto, Turchia e Qatar – dicono da Riyadh – potrebbe bilanciare il peso della Repubblica Islamica, che ha già mostrato la sua influenza a Damasco, a Beirut, a Baghdad e in Bahrein.

IL SUPPORTO DEL CAIRO

Questa posizione è condivisa dal Cairo, spiega il Jerusalem Post. Al termine della sua visita in Arabia Saudita, al-Sisi ha detto ai media che sostiene la creazione di una “forza araba congiunta”. Una frase forse esagerata, ma che sottintende la necessità a una qualche forma di collaborazione. Nonostante la tensione tra l’Egitto e i Paesi del Golfo resti alta (Riyadh stessa ha tagliato di molto il suo supporto economico all’Egitto), il generale egiziano vede tanto re Salman, quanto gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania come Paesi con i quali lavorare su questi temi (meno il Qatar, con cui i rapporti sono tesi). “La sicurezza del Golfo è una linea rossa per noi“, ha detto al-Sisi, definendo i contorni della nuova alleanza che potrebbe ridefinire gli equilibri della regione.

Come si muove l'Arabia Saudita contro Iran e Isis

Che si tratti d'impedire all'Iran di entrare in possesso di un'arma nucleare, di arginare il terrorismo dello Stato Islamico o di rovesciare il regime del presidente siriano Bashar al-Assad, l'Arabia Saudita è alla ricerca di sostegno politico e militare ai suoi progetti regionali. Piani che il nuovo monarca, re Salman, vuole realizzare attraverso la stabilizzazione del fronte arabo sunnita, diviso…

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