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Ammetto di avere una gran paura di volare. Durante i secondi che precedono il decollo e quando l’aereo si alza mi sale il sangue al cervello, la mia frequenza cardiaca aumenta e divento rossa paonazza, mentre gocce di sudore freddo mi scendono lungo la schiena, se guardo fuori dal finestrino poi, mi vengono le vertigini. L’ansia raggiunge un picco e in pochi minuti si riduce, fino tutto dentro di me torna normale, il cuore si calma, i muscoli si distendono.

Sono certa che si tratti di attacchi di panico perché sono uno psichiatra. Forse molti saranno andati da uno psichiatra credendo di affidarsi a qualcuno che, magari dopo anni di terapia personale, è diventato invincibile, resistente a tutti gli insulti della vita. Non è così, gli esseri umani, tutti, sono imperfetti e si ammalano.

Negli ultimi anni il concetto di malattia mentale si è modificato rapidamente, grazie alle nuove scoperte e ai nuovi studi nel campo delle neuroscienze e della ricerca clinica. Ma la percezione che l’opinione pubblica ha della malattia mentale si è modificata invece molto lentamente. Nella percezione popolare sopravvive la dicotomia tra disturbo reattivo, ovvero causato da fattori esterni, come la perdita del lavoro o il lutto, oppure da conflitti psichici irrisolti, come postulava la teoria psicanalitica e disturbo endogeno con il quale in genere vengono identificati i disturbi mentali più gravi come la schizofrenia e incompatibili con una vita normale.

Niente di tutto questo è vero in senso assoluto. Le moderne neuroscienze ci insegnano che i disturbi mentali, oggetto della disciplina psichiatrica, sono un mosaico di dimensioni psicopatologiche che si compongono diversamente in ogni individuo distribuendosi secondo diverse gradazioni d’intensità.

Quali sono queste dimensioni? Prendiamo l’umore ad esempio. Tra la depressione cupa, con una visione del mondo senza speranza e pervasa da sensi di colpa e la normalità o eutimia, ci sono mille sfumature che includono brevi periodi di preoccupazione, tristezza collegata a insoddisfazione personale o familiare, periodi di mancanza di sonno e scarso appetito, labilità emotiva nelle donne in seguito a cambiamenti ormonali ecc.

Oppure le psicosi, caratterizzate da deliri e allucinazioni sono caratteristici della schizofrenia e di altri disturbi gravi che coinvolgono anche le capacità cognitive, ma possono essere anche presenti nella popolazione generale, soprattutto nei giovani, come transitorie alterazioni della percezione o come conseguenza dell’uso di alcune sostanze quali la cannabis o i seguito a prolungata mancanza di sonno, senza necessariamente arrivare a produrre un disturbo psichiatrico cronico.

Questa moderna cornice intellettuale rende le malattie mentali più rassicuranti, eliminando la dicotomia stigmatizzante, ammettiamolo, tra matto e sano di mente, ma allo stesso tempo amplifica molto la presenza dei disturbi mentali che, anche quando episodici, transitori e di moderata gravità, vanno identificati e trattati.

La causa delle malattie mentali è molto simile a quella delle malattie cardiovascolari, trattandosi di condizioni multifattoriali nelle quali una componente biologica, in genere con il contributo di molti geni diversi, non uno solo, costituisce una base sulla quale agiscono vari fattori di rischio ambientali. Ma se la base c’è, ovvero se una persona è predisposta, piccoli sintomi possono rimanere isolati o cronicizzarsi se non aggrediti in tempo. L’angina pectoris può essere un campanello d’allarme per il rischio d’infarto come un transitorio periodo di mancanza di sonno può esserlo per un disturbo dell’umore.

Il caso del pilota ventottenne di Germanwings che ha deliberatamente condotto un aereo con 150 persone a bordo contro una montagna non ci deve stupire. Ci deve sconvolgere emotivamente per l’empatia verso quelle famiglie, quelle vite spezzate, ma non ci deve sorprendere che una persona apparentemente inserita nelle normali attività lavorative e sociali possa compiere un tale gesto. I disturbi del pensiero si annidano nella sottile interfaccia tra la realtà e il nostro mondo interiore e lì crescono, da piccole sensazioni di colpa a cupe immagini di morte, prima fugaci, poi persistenti. Nella fantasia delirante di tipo depressivo il mondo diventa malvagio, la speranza muore e la morte è un dovere.

Dalle prime fonti si apprende che Andreas Lubitz avesse in passato interrotto il suo addestramento per un episodio depressivo. Era quello il campanello d’allarme che avrebbe potuto arrestare l’inesorabile eclissi della ragione. La malattia mentale, anche quella di questo giovane pilota non avviene però mai all’improvviso e genera progressivamente una sofferenza inimmaginabile, una condizione esistenziale di solitudine assoluta. E le tragiche conseguenze che, come in questo caso, spesso apprendiamo da episodi di cronaca, non sono le azioni di mostri, quanto gesti della disperazione umana più estrema. Eppure anche quando la sofferenza è così alta, le cure disponibili danno molto sollievo, in alcune persone consentono anche la remissione completa e per lungo tempo. Per questo motivo è importante non lasciare nulla al caso.

Ma se siamo tutti imperfetti e tutti possiamo ammalarci, compresi gli psichiatri; se una società moderna non stigmatizza chi si rivolge ad uno specialista per la cura di un disturbo mentale, allora chi è deputato alla tutela della salute pubblica ha una importante responsabilità nel garantire gli spazi, i luoghi e le occasioni adeguate per la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie mentali.

Valentina Mantua

Perché il caso del copilota Lubitz non deve stupire. Parola di psichiatra

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