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La questione libica è stata fin troppo sottovalutata negli ultimi mesi, principalmente per far spazio alle vicende altrettanto critiche di Siria, Iraq e Ucraina. Ma gli episodi di queste ore riportano in primo piano un tema che si dimostra tanto delicato quanto del tutto aperto. Parola del New York Times.

La Libia, scrive il NYT, è una nazione con forti potenzialità di crescita e benessere, ricca di petrolio, ma che sta lentamente virando verso un caos completo. Proprio per questo motivo sarebbe bene che i leader mondiali raddoppino gli sforzi che attualmente si stanno compiendo, nel tentativo di conciliare le fazioni attualmente in lotta in direzione di un accordo sulla spartizione del potere politico, attualmente in una situazione di grave instabilità. Il tutto ovviamente sotto la guida dell’Onu.

In un editoriale apparso sulla testata statunitense si legge infatti senza mezzi termini che la “questione della Libia ha ricevuto relativamente troppo poca attenzione nel corso degli ultimi mesi”, e che “sarebbe saggio che i leader mondiali raddoppiassero gli sforzi di mediazione condotti dalle Nazioni Unite per trovare un accordo di condivisione del potere tra le fazioni in lotta sul territorio”. Visto e considerato infatti il caos verso il quale sta sprofondando “questa nazione ricca di petrolio”, l’intervento in direzione di una pacificazione e del ristabilimento di un clima di stabilità complessiva sembra essere un po’ da tutte le parti il leitmotiv nei confronti del quale progressivamente, e all’unisono, ci si sta adagiando.

La Libia ha le stesse possibilità di diventare un problema potenzialmente grande quanto quello che stiamo vedendo in Iraq e in Siria,” ha detto Bernardino León, l’inviato delle Nazioni Unite in Libia, sempre stando a quanto si apprende dalle pagine del NYT. “La differenza è che la Libia si trova a pochi chilometri di distanza dall’Europa”, il che non è un elemento di poco conto.

Il NYT aggiunge: “La crescita e la radicalizzazione dei gruppi islamici sollevano la possibilità che gran parte della Libia potrebbe finire per diventare un satellite dello Stato islamico”. A quel punto il problema alle porte del mediterraneo assumerebbe davvero una portata più ampia rispetto agli interessi della sola Italia.

Quello che nei giorni scorsi l’inviato Onu ha provato a fare è stato ricongiungere i leader delle fazioni che guerreggiano attualmente sul territorio libico. Vale a dire il governo guidato da Abdullah al-Thinni e riconosciuto dalla comunità internazionale, e i miliziani che si sono formati durante la deposizione e uccisione di Gheddafi, e che assieme ad altre fazioni politiche e clan tribali controllano la capitale per mezzo di un governo ombra. Che costringe il parlamento a riunirsi a Tobruk e il governo vicino a Bayda, entrambe nella zona est del Paese. Ma evidentemente non c’è stato niente da fare.

Questo spinge il NYT ha sostenere che “se i combattimenti dovessero continuare, a quel punto il paese resterà molto probabilmente diviso, e quella che è un’economia con buone possibilità di crescita finirà per crollare”. Senza contare che secondo l’ambasciatore libico degli Emirati Arabi Uniti Aref Ali Nayed i militanti dell’Isis potrebbero in poco tempo estendere la loro influenza anche su gruppi islamisti meno dogmatici presenti sul territorio, “espandendone il controllo”. “Gli islamisti sono molto abili a fare proselitismi”, dice l’ambasciatore. “Hanno imparato da Mc Donald’s”.

La soluzione sarebbe quindi quella di “fare pressione sui libici per far sì che adottino nuove misure per riconciliare e avviare il difficile processo di costruzione di uno Stato funzionante”, e quindi “offrendo incentivi e sostegno a coloro che sono disposti a tracciare un nuovo corso”.

New York Times, perché la Libia è pericolosa quanto la Siria e l'Iraq

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