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La Libia, con il passare delle ore, si sta trasformando in vero e proprio terreno di guerra. Secondo quanto riferisce Al Jazeera, caccia dell’aviazione libica, fedeli al generale Khalifa Haftar ed al parlamento insediato a Tobruk, hanno bombardato due località intorno Tripoli, entrambe controllate dai combattenti di Alba libica e dal governo rivale – e dove governo e Congresso Nazionale Generale hanno dichiarato illegittimi governo e parlamento di Tobruk lo scorso novembre – per preparare un’offensiva di terra e conquistare la città.

Si tratterebbe di un accampamento militare, che sarebbe stato colpito, e l’aeroporto di Mitiga, che invece sarebbe stato mancato. Fonti militari parlano di «raid su Tripoli contro postazioni di Fajr Libya», la coalizione di milizie filo-islamiche al potere nella capitale. I raid aerei arrivano un giorno dopo che il governo riconosciuto dalle Nazioni unite, che ha sede a Tobruk, nell’est del paese, ha annunciato l’avvio di un’offensiva per “liberare” Tripoli.

LE CRITICHE DI LEON

Profonda indignazione per quanto sta accadendo in queste ore è stata espressa in una nota dall’inviato speciale dell’Onu, Bernardino Leon: «Le attività militari sul terreno sono inaccettabili e le dichiarazioni arrivate nelle ultime ore da responsabili libici rappresentano una seria minaccia che condizionerà il negoziato», si legge. Ieri, il governo di Tobruk aveva annunciato «l’inizio della liberazione di Tripoli». Le Nazioni Unite, prosegue la nota, «fanno appello a tutti i protagonisti politici e militari a interrompere queste azioni». Queste, «avranno un impatto non solo sul negoziato – facendo riferimento a quello in corso in Marocco – ma sulla vita dei cittadini libici, e sulla regione». La comunità internazionale «non può accettare» simili operazioni, soprattutto «perché abbiamo visto in questi giorni libici di entrambe le parti (Tripoli e Tobruk, ndr) combattere il terrorismo e l’Isis». Questa «è una opportunità per i libici, per continuare a lavorare sul dialogo per una soluzione politica», conclude Leon.

LE MIRE DEL GOVERNO DI TOBRUK

Non è la prima volta che le forze militari del generale Khalifa Haftar, prendono di mira l’aeroporto internazionale di Tripoli. Analoghi raid sono stati eseguiti per tre giorni di seguito, dal 3 marzo scorso, nel quadro della strategia di riconquista della capitale al controllo del cosiddetto “governo di Tobruk”, l’unico riconosciuto dalla Comunità Internazionale, in quanto espressione dell’unico Parlamento eletto democraticamente nel giugno 2014. Haftar, in una intervista concessa il 10 marzo all’Ansa aveva rivolto un appello al premier italiano: «A Renzi chiedo di convincere la comunità internazionale a rimuovere l’embargo sulle armi e di aiutarci a combattere per una Libia libera dagli estremisti. È decisivo anche per l’Italia: se dovesse vincere l’Isis sarebbe a rischio la vostra sicurezza».

IL RUOLO DELL’EGITTO

Dietro l’offensiva di queste ore, si nasconde anche la longa manus de Il Cairo. Il governo libico, riconosciuto dalla comunità internazionale e guidato dal premier Abdullah Al Thani, sarebbe infatti appoggiato dall’Egitto che nutre mire territoriali sulla Cirenaica, l’area più orientale del Paese nordafricano e maggiormente ricca di giacimenti petroliferi. Risorse che consentirebbero al governo del generale Abd al-Fattah al-Sisi di finanziare un intervento armato. Non solo, Il Cairo – come ha sottolineato di recente il generale Carlo Jean – vuole impedire che gli islamisti libici giungano alle proprie frontiere armati con gli enormi arsenali di Gheddafi, evitando così che vengano in contratto con la minaccia rappresentata per il premier dagli integralisti locali.

LA POSIZIONE USA

Il segretario della Difesa Usa, Ashton Carter, intervenendo l’11 marzo scorso alla commissione Affari esteri del Senato americano, sulla richiesta di Barack Obama di poter usare la forza militare contro l’Isis, ha evidenziato come la campagna di Washington contro i drappi neri, e i relativi bombardamenti, possano estendersi anche agli affiliati del gruppo terroristico in Paesi come la Libia e la Nigeria, dove nella parte nord campeggia l’organizzazione terroristica jihadista conosciuta come Boko Haram, che di recente sembra aver giurato fedeltà allo Stato Islamico.

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